Un po’ a sorpresa, accanto alla presentazione di Android 4.3 a San Francisco ha fatto capolino anche un nuovo gadget studiato a Mountain View: Chromecast è un dongle HDMI , ovvero un gadget a forma di penna USB da collegare a una delle porte che solitamente si trova dietro (o sul fianco) degli schermi LCD ad alta definizione che sempre più spesso albergano nei salotti e nelle camere da letto anche in Italia. Il suo prezzo, appena 35 dollari, ne ha fatto istantaneamente un best seller: in poche ore prosciugate le scorte di Amazon .
Che cos’è Chromecast. Chromecast altro non è che un ricevitore di un segnale, in particolare un segnale WiFi , che permette di mostrare sulla TV contenuti che in teoria si trovano unicamente su PC o altri device come tablet e smartphone. Chromecast non necessita di un sistema operativo propriamente detto ( monta una versione semplificata di Chrome OS ), non ha un’interfaccia per l’utente, è semplicemente un ponte: attraverso il dongle transitano i contenuti provenienti da Internet e sono visualizzabili e ascoltabili in salotto. A differenza di altri prodotti come Apple TV non offre la possibilità di noleggiare o scaricare contenuti: può solo fare da tramite per attività svolte altrove.
I punti forti di Chromecast . Ovviamente, innanzitutto, il prezzo: 35 dollari sono una frazione di quanto costi una Apple TV (negli usa 99 dollari), una frazione di quanto costano altri concorrenti e soprattutto una frazione di quanto costa(va?) un dispositivo Google TV . Altro punto forte è l’adozione della WiFi come canale di scambio: a patto di usare un PC con a bordo Chrome, un terminale Android o ( prossimamente ) iOS collegati alla stessa rete wireless si potranno condividere i contenuti visualizzati. Per esempio YouTube ha già subito introdotto una modalità “CAST” tra le opzioni di visualizzazione. Negli USA c’è anche Netflix già partner del prodotto, e addirittura Google offre 3 mesi gratis di abbonamento al servizio per testarne il funzionamento.
In secondo luogo , semplicità di utilizzo : in teoria dovrebbe essere possibile inviare il contenuto dal PC o dal tablet alla TV in modo pressoché trasparente, per poi continuare a fare altro (il dongle effettua una negoziazione con l’altro device per subentrare nella gestione del contenuto visualizzato e continuare a mostrarlo in autonomia). A quel punto si può ignorare l’apparecchio di partenza, oppure usarlo per chattare con gli amici o navigare. Bastano pochi clic o tocchi, poi, per ritornare all’app di controllo e regolare volume e riproduzione. Inoltre, se ci sono più utenti collegati allo stesso Chromecast possono per esempio creare delle playlist condivise di YouTube: un po’ come avrebbe dovuto fare il Nexus Q.
Punti deboli di Chromecast . Sebbene Google dica che basta collegare il device alla TV per utilizzarlo, senza fili, la realtà potrebbe essere diversa. L’esigenza di usare questo apparecchio potrebbe sorgere soprattutto per chi ha uno schermo piatto non proprio recentissimo o all’ultimo grido, e pertanto non dispone di collegamento alla Rete nativo: in questo caso, collegare l’unità alla TV potrebbe non bastare, poiché non è detto che la versione di porta HDMI presente sia in grado di erogare abbastanza energia per farlo funzionare. In questo caso occorre fornire energia o tramite una porta USB presente sulla TV stessa, o attraverso un caricabatterie esterno fornito. Addio allo slogan “senza fili”. E poi bisogna esser certi che la rete WiFi di casa ci sia, arrivi con abbastanza segnale al dongle, e ci sia banda a sufficienza per lo streaming.
Ancora , è un device da 35 dollari e fa quello che ci si aspetta da un device di 35 dollari: nessun marketplace per i contenuti, nessuna funzione avanzata per la condivisione dello schermo o di quanto mostrato sul PC o tablet. Non è AirPlay di Apple, per intendersi. Per funzionare , richiede a chi realizza le app e i servizi di studiarsi e integrare l’ SDK specifico , esattamente come AirPlay: con la differenza che Apple TV, l’hobby di Cupertino, ha già piazzato diversi milioni di apparecchi nei salotti, e invece Chromecast deve ripartire da zero. Di sicuro non sarà il problema principale, questo, visto prezzo e la pervasiva diffusione di apparecchi Android, ma è un fattore da valutare: soprattutto perché occorrerà considerare che uno dei principali fattori di marketing negli USA sarà Netflix, che permette di vedere i blockbuster sullo schermo di casa, mentre nel resto del mondo occorrerà stringere accordi specifici con i potenziali partner che forniscano i contenuti (ammesso che esistano).
Nel complesso, di Chromecast si possono dire un paio di cose. La prima è che probabilmente sancisce la fine dell’avventura Google TV: non a caso sul palco c’erano gli stessi manager di Big G che avevano elaborato e lanciato quel prodotto a suo tempo, e che potrebbero aver imparato la lezione e cambiato cavallo in questo frangente. La seconda è che Google ha bisogno di trovare nuovi modi di veicolare contenuti su altri schermi (per acquisire altri spazi pubblicitari e crescere, a danno di concorrenti come i canali TV tradizionali ): visto l’impegno, anche economico , su YouTube, Mountain View potrebbe aver deciso di investire in questa iniziativa per tentare anche la strada della media company. Agli acquirenti l’ardua sentenza.
Luca Annunziata