Il giorno dopo l’attentato dell’XI arrondissement di Parigi, per i superstiti della redazione di Charlie Hebdo è stato un giorno in cui tutte le abitudini, i gesti ed il lavoro svolto ormai da anni hanno assunto inevitabilmente un senso nuovo: qualcosa è sicuramente cambiato per sempre.
Lo stesso è successo anche fuori da quella porta : così il primo numero della rivista satirica francese è stato distribuito in mezzo mondo – online od associato ad altre riviste – andando ben presto esaurito, annientando qualsiasi record di vendita di una rivista e confermando l’attenzione creatasi intorno alla pubblicazione. La stessa attenzione che ha anche portato Google France a confermare di essere intervenuta per rimuovere “diversi video” relativi all’attentato.
Al contempo, proprio mentre i rispettivi ministri sfilavano per le strade di Parigi per la libertà di espressione, alcuni governi hanno iniziato a pensare a come stringere la vite sui contenuti di odio che circolano online e continuano a portare avanti proposte di legge considerate dagli osservatori liberticide o comunque volte a comprimere la possibilità di esprimersi liberamente online.
Così, l’associazione italiana di Assoprovider ha scritto al governo italiano mettendolo in guardia dalle derive censorie e chiedendo che un tale atto di terrorismo non diventi l’ombrello sotto cui nascondere nuove normative che possano soffocare le libertà dei cittadini della Rete. Se in Italia la politica si è limitata ai proclami , i palazzi francesi non hanno interrotto l’iter di approvazione del nuovo decreto contro i contenuti estremisti pubblicati online.
Altri paesi, invece, sono tornati ad applicare le logiche di censura finora adottate: la più accanita oppositrice della distribuzione della provocatoria rivista francese è stata la Turchia , già protagonista nel corso del 2014 di repressioni su Twitter . Ankara è arrivata a bloccare l’accesso ai siti che pubblichino le copertine del nuovo numero di Charlie Hebdo, che mostra una raffigurazione del profeta Maometto.
Il tutto è partito da una corte turca della provincia sud di Diyarbakir, che si è espressa sulla questione in seguito ad una denuncia scatenata dalla pubblicazione da parte di un quotidiano locale di alcune vignette della rivista. Rappresentare il Profeta, per certa parte della religione musulmana, rappresenta un’offesa: le vignette sono quindi state considerate provocatorie.
La sentenza contro il quotidiano ha portato ad un’ordinanza che ha disposto il blocco dell’accesso alle immagini incriminate nel paese anche online. D’altra parte la Turchia non teme di provare ad imporre il suo controllo online: sempre in questi giorni le autorità hanno messo in guardia i siti Internet dal pubblicare i materiali relativi alla notizia di due camion dell’intelligence turca bloccati all’inizio del 2014 in Siria segretati “in difesa della sicurezza nazionale”.
Oltre alla Turchia, anche in Russia il nuovo numero della rivista satirica ha incontrato blocchi: il motore di ricerca locale Sputnik, di proprietà del Cremlino, ha deciso di non far figurare tra i suoi risultati le immagini di Charlie Hebdo. La decisione è una conseguenza diretta delle minacce del Roskomnadzor , il servizio federale per la supervisione della sfera delle telecomunicazioni, dell’information technology e delle comunicazioni di massa, che ha avvertito che avrebbe denunciato qualsiasi giornale avesse pubblicato caricature di figure religiose.
Claudio Tamburrino