C’è chi parla dei fatti drammatici dell’ XI arrondissement di Parigi come dell’11 settembre europeo: certo è che l’effetto sui cuori e le menti dei cittadini, dei media, dei Palazzi è stato notevole, ed ora bisogna fare i conti con paure, reazioni e conseguenze. Da un lato ci sono quelle istituzionali, dall’altro quelle personali: le prime dovrebbero rappresentare la voce della ragione, quella in grado di superare la reazione scomposta ed adrenalinica causata dalla paura; le altre dimostrano la necessità di procedere all’azione, che abbia un senso o meno.
Eppure, proprio le istituzioni, o almeno quelle italiane, francesi e britanniche, in risposta alla minaccia, minacciano le libertà per cui le vittime dell’attacco sono morte: la Francia, dopo le nuove misure di tecnocontrollo entrate in vigore appena prima dell’attentato, sembra pronta ad approvare un decreto legge che permette – in alcune condizioni – di bloccare a livello DNS i siti con contenuti di sostegno al terrorismo e che si macchino di apologia di reati simili (oltre che a quelli pedopornografici) attraverso un ordine amministrativo. A Londra la polizia metropolitana chiede invece nuovi poteri per combattere gli estremisti islamici , mentre in Italia il ministro degli Interni Angelino Alfano sta cercando di far approvare sull’onda dell’indignazione per Charlie Hebdo nuove disposizioni per controllare i contenuti online .
Sia Parigi che Roma hanno cercato subito di precisare che si tratta di possibili interventi assolutamente residuali e da adottare solo nei casi specifici previsti dalla legge, tuttavia i timori restano: ogni volta che si apre la strada al controllo e ad un potere si rischia di minare una libertà.
Inoltre, la misura proposta da Alfano appare davvero pericolosa: minacciando la possibilità di attentati anche in Italia (“anche se stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo e abbiamo rafforzato i presidi sugli obiettivi sensibili”), il ministro intende presentare un disegno di legge per introdurre “la possibilità da parte del questore di ritirare il passaporto al sospetto di terrorismo che decide di espatriare”, ma anche la possibilità di condurre “un’azione sui providers che possono aiutare a trovare i messaggi di radicalizzazione sul web”.
Questo comporterebbe un più facile accesso ai dati sensibili (naturalmente se utili a combattere il terrorismo), altri obblighi per gli ISP di bloccare contenuti pericolosi, come già avviene su ordine della magistratura, e la creazione di un registro per i siti pericolosi, una vera e propria una black list , come quelle che già esistono per contrastare altri tipi di reati; misure che secondo più parti rischiano di non aver alcun effetto sulle attività dei terroristi, ma concrete conseguenze per le possibilità di esprimersi online.
Al contrario, alcune iniziative personali sembrano frutto di un lungo respiro: tra questi c’è l’ intervento di una frangia di hacktivisti di Anonymous che all’indomani dell’attentato hanno sospeso la loro offensiva nei confronti del Ministero della Difesa francese ed hanno riferito che – naturalmente a modo loro – prenderanno di mira con “attacchi frontali e di massa” le organizzazioni vicine ai terroristi. D’altra parte, come dicono loro stessi, in questa situazione gli hacker dimostrano di non dimenticare la loro filosofia e le loro radici: “la battaglia in difesa di tali libertà è la base stessa del nostro movimento”.
Claudio Tamburrino