Non tutti, nell’ambito della finanza, guardano a Bitcoin e più in generale al mondo delle criptovalute come al nuovo El Dorado o a strumenti in grado di evolvere in modo positivo le dinamiche che regolano la circolazione dei capitali. È il caso di Charlie Munger, non esattamente l’ultimo arrivato: 97 anni compiuti, vicepresidente di Berkshire Hathaway, è il braccio destro di Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi al mondo.
Bitcoin non piace a Charlie Munger (e a Warren Buffett)
In occasione del suo intervento al meeting annuale del gruppo, nel fine settimana, ha dichiarato senza ricorrere a giri di parole di non esserne sostenitore, motivando la propria posizione puntando anzitutto il dito contro l’estrema volatilità dell’asset che, per tale motivo, non può essere considerato uno strumento di scambio globale. L’attenzione è rivolta anche alla sua struttura che mostra il fianco a impieghi non propriamente legittimi.
Certamente odio il successo di Bitcoin. E non ritengo benvenuta una moneta tanto utile a rapitori ed estorsori e così via, né mi piace la prospettiva di concedere qualche altro miliardo di dollari a qualcuno che ha solo inventato un prodotto finanziario basato sul nulla.
Il commento di Munger è riferito alla forte crescita fatta registrare nei confronti di Bitcoin nell’ultimo periodo, non solo in termini di valore, ma anche per quanto concerne l’interesse.
Credo di dover dire, con modestia, che penso l’intero dannato sviluppo sia disgustoso e contrario agli interessi della civiltà.
Nel corso dell’ultimo anno la capitalizzazione di Berkshire Hathaway è cresciuta del 50,5%, superando le più rosee aspettative degli analisti, quella di Bitcoin di oltre il 500%. Lo stesso Warren Buffett si è espresso in passato in modo molto critico nei confronti della criptovaluta, definendola un dispositivo per il gioco d’azzardo
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