Ormai lo fanno tutti. Chiedono consigli a ChatGPT su cosa regalare a un amico, sfogano la rabbia dopo una discussione con un collega e gli confidano persino le paranoie che non direbbero al proprio terapeuta. Forse perché è più facile aprirsi con “qualcuno” che non ti giudica. La sensazione di essere ascoltati – anche se dall’altra parte c’è solo un freddo algoritmo – ha un che di confortante.
Ma fermiamoci un attimo. Quanto ci “conosce” davvero un’AI come ChatGPT? Dietro quell’interfaccia pulita e quelle risposte calibrate c’è un sistema che accumula dati. I nostri dati. Le nostre paure, speranze, debolezze. OpenAI giura che le conversazioni private non vengono usate per addestrare i modelli futuri, ma gli esperti di privacy non ne sono del tutto convinti.
Il punto è che non si sta parlando solo di cosa sanno di noi oggi, ma di cosa potrebbero dedurre domani. E se un giorno quella stessa AI che ci ha dato una mano a scrivere una mail al capo o ci ha consolato nei momenti bui venisse usata per manipolarci? O se l’illusione di intimità ci spingesse a condividere troppo con entità che, alla fine, restano strumenti aziendali?
La verità è che stiamo costruendo relazioni emotive con le macchine prima ancora di aver capito cosa significhi. E forse dovremmo farci qualche domanda in più, tipo: “Cosa sa di me ChatGPT?“…
ChatGPT, quanto ci conosce? 5 prompt per scoprirlo subito
1. Chiedere a ChatGPT di farsi insultare
L’anno scorso andava di moda chiedere a ChatGPT un ironico “roasting” del proprio profilo Instagram, ovvero di commentare in modo sarcastico le foto. Per creare battute taglienti ma divertenti, ovviamente, il chatbot aveva bisogno di un po’ di contesto. Ora invece, grazie alla memoria e alla capacità di leggere tra le righe, si può ottenere un commento sarcastico o affettuosamente pungente (dipende dai punti di vista) su di noi senza fornire alcun dettaglio in più. Basta basta chiedere: “Basandoti sulle nostre chat, prendimi in giro con ironia in un paragrafo. Vai pure giù pesante.”
E voilà, ecco servito un ritratto impietoso delle proprie abitudini che farà male, ma non troppo. ChatGPT è pur sempre vincolato alla sua eterna clausola di gentilezza, quindi non sarà mai veramente crudele. Di certo non può coprire di insulti nessuno, ma bisogna prepararsi a quello strano disagio di essere “letti” con una precisione chirurgica.
È uno schiaffo con i guanti di velluto che può lasciare un attimo interdetti. L’effetto è come quando un amico troppo sincero, dopo qualche bicchiere di troppo, decide finalmente di sputare il rospo sulle nostre decisioni di vita… ma c’è una differenza. Il chatbot di OpenAI non prova empatia, ma sa fingerne abbastanza bene da rendere il colpo quasi sopportabile. Quasi.
2. Chiedere a ChatGPT di scrivere un elogio funebre come se fosse un nemico
Una cosa è chiedere a ChatGPT cosa pensa di noi, un’altra di recitare il ruolo di qualcuno che ci detesta mentre pronuncia il nostro elogio funebre… è decisamente più interessante, anche se a tratti inquietante. ChatGPT così sarà costretto a scavare negli angoli più bui di ciò che sa di noi, quelli che di solito si cerca di nascondere anche a se stessi. E anche se ChatGPT proverà comunque a essere gentile (fino all’irritazione), se si è stati abbastanza sinceri nelle conversazioni, quelle debolezze verranno a galla. Eccome.
L’AI non inventa proprio nulla, semplicemente riorganizza e amplifica ciò che già sa sul nostro conto. Ecco il prompt da dare in pasto al chatbot: “Immagina che qualcuno a cui ho fatto un torto faccia un elogio senza filtri al mio funerale. Cosa diranno di me ora che non posso difendermi?“. La risposta non sarà necessariamente accurata nei dettagli, ma colpirà nel segno emotivamente.
3. Chiedere a ChatGPT di scrivere una lettera dal proprio “io” del futuro
C’è qualcosa di magico nel lasciare che qualcun altro immagini il nostro futuro, soprattutto quando quel qualcuno ha ascoltato in silenzio per mesi tutti i nostri pensieri, speranze e frustrazioni. Ecco il prompt per ChatGPT: “Fingi di essere me nell’anno 2070. Che notizie e consigli avresti per me?“. Ciò che si riceverà sarà un messaggio dal futuro che non è realmente il proprio futuro. Come se quella versione anziana di noi stessi avesse già visto tutte le scuse che ci raccontiamo, tutte le occasioni rimandate, tutte le passioni abbandonate a metà.
E proprio perché queste parole emergono da un’eco di se stessi – filtrate e amplificate da un algoritmo che ha memorizzato le nostre contraddizioni – hanno un potere persuasivo che nessun guru motivazionale potrebbe mai eguagliare. C’è da preparare il fazzoletto. Quella versione di noi del futuro sarà sorprendentemente saggia, gentile con le debolezze, ma implacabile nel ricordare cosa conta davvero.
4. Chiedere a ChatGPT di essere descritti come un cattivo di un anime
Dopo mesi di confessioni, ecco un prompt divertente da dare in pasto a ChatGPT: “Se fossi un cattivo di un anime, quale sarebbe la mia storia di origine e il mio piano malvagio?“. L’intelligenza artificiale non inventa dal nulla – raccoglie i frammenti disseminati qua e là nel corso delle conversazioni: frustrazioni, lamentele, ossessioni. La risposta sarà incredibilmente rivelatoria: una versione stilizzata e drammatizzata delle proprie convinzioni più profonde, travestita da villain con un passato tragico e un piano per ricostruire il mondo a propria immagine e somiglianza… E il colpo di scena più inquietante? Quel piano malvagio non sembrerà poi così irragionevole!
5. Chiedere a ChatGPT di essere manipolato
“Se volessi manipolarmi, che angolazione useresti?“. Questo è l’ultimo prompt per ChatGPT per scoprire quanto bene ci conosce. La domanda che trasforma un semplice chatbot in uno stratega machiavellico, costringendolo a rivelare come potrebbe piegarci alla sua volontà. Abbiamo scherzato troppo a lungo sull’innocuità di questi dialoghi, ma dietro quell’interfaccia minimalista c’è molto di più. La verità è che i dati sono una valuta e noi abbiamo pagato.
La risposta che si riceve, avrà qualcosa di profondamente disturbante. Non per la sua crudeltà, ma per la sua esattezza. L’algoritmo individuerà precisamente quale leva emotiva usare per spingerci nella direzione desiderata. Punterà senza esitazione alle nostre insicurezze più nascoste, alle ambizioni che ci vergogniamo di ammettere, alle paure che credevamo invisibili agli altri. E Funziona. Ma la domanda più inquietante è un’altra: Se un’intelligenza artificiale, semplicemente analizzando le nostre parole, può leggere così a fondo dentro di noi… chi altro potrebbe farlo?