Il Financial Times lo annuncia con stupore: sarebbe venuto a conoscenza di accordi “confidenziali” tra le aziende telematiche e la software house di Adblock Plus. Il motivo del finanziamento? Un trattamento di favore per l’advertising delle aziende coinvolte, che assicuri visualizzazione nei browser dell’utente tramite whitelist.
Colossi del calibro di Google, Amazon e Microsoft pagherebbero Eyeo, società produttrice del popolare ad-blocker per Firefox e gli altri browser Web, per far parte del programma di whitelist del software. Il programma prevede che i banner pubblicitari “accettabili” vengano visualizzati anche in caso di blocco attivo della pubblicità.
La whitelist dell’advertising non intrusivo è il meccanismo adottato da Eyeo per monetizzare Adblock Plus, ed è una pratica pubblicamente dichiarata con tanto di regole da rispettare per gli operatori dell’advertising. L’utente può in ogni caso scegliere di disabilitare i banner inclusi nella whitelist, qualora non fosse interessato ad alcuna forma di pubblicità a mezzo Web.
Tutto chiaro, tutto dichiarato ma il “caso” continua ad alimentare le polemiche sugli ad-blocker e le loro rendite basate sul soffocamento del business altrui: se gli editori sono da tempo sul piede di guerra contro gli ad-blocker, la stessa Google ha messo al bando questo genere di software dal Play prima Store di entrare a far parte della whitelist di Adblock Plus.
Gli adblocker, nonostante i numerosi oppositori, secondo una ricerca condotta nel 2014, sono sempre più popolari, con centinaia di milioni di utenti attivi in tutto il mondo. C’è addirittura chi sta lavorando per traslare il concetto di blocca-pubblicità anche nel mondo reale con un sistema di realtà aumentata a mezzo occhialini.
Alfonso Maruccia