Segnali contrastanti, lanciati dal mercato discografico globale nel corso del 2009. Le aziende del disco sono certo in crisi, con perdite pari a circa 17 miliardi di dollari a partire dai mercati di Giappone e Stati Uniti. Ma allo stesso tempo, alcune aree chiave come la musica digitale sono cresciute, precisamente del 9,2 per cento .
Si intitola Recording Industry in Numbers (RIN) ed è il quadro dipinto dall’ International Federation of the Phonographic Industry (IFPI), a fare luce sull’attuale panorama dell’industria musicale a livello mondiale. Se quindi il valore del mercato tradizionale è sceso del 12,7 per cento nel 2009, sono stati i 4,3 miliardi di dollari guadagnati nel settore digitale a rendere meno tormentato il sonno dei discografici.
Un aspetto pare ormai consolidato: le piattaforme online rappresentano oggi per le case discografiche il 25,3 per cento di tutte le loro entrate . Con vendite cresciute fino al 43 per cento negli Stati Uniti e poco meno in paesi come Argentina, Australia, Singapore, Svezia e Regno Unito. Merito quindi dei circa 12 milioni di tracce disponibili su circa 400 piattaforme online legali, tra cui Amazon, Spotify e iTunes. E proprio la piattaforma di Apple ha rappresentato nell’anno più di un quarto delle vendite totali nel settore sul territorio a stelle e strisce.
“Nel complesso le vendite di musica sono calate nel 2009 del 7 per cento – ha spiegato John Kennedy, presidente di IFPI – ma vi sono anche degli aspetti incoraggianti. Sono oltre 13 i paesi in cui è cresciuto il mercato, comprese nazioni importanti come l’Australia, il Brasile, la Corea del Sud, la Svezia e il Regno Unito. Le vendite digitali in alcuni di questi mercati sono cresciute molto e riflettono le potenzialità che le nuove piattaforme online e i canali mobili sono in grado di offrire”.
Secondo la visione di Kennedy, “Corea del Sud e Svezia in particolare hanno visto crescere notevolmente quest’area grazie anche ad un miglioramento del proprio quadro normativo di tutela e sviluppo dei contenuti digitali”. Si tratta di un ritornello già sentito: il file sharing selvaggio starebbe uccidendo creatività e soprattutto modelli di business legati al disco.
In fondo, in terra svedese c’è un processo sulle teste degli admin di The Pirate Bay e una nuova legge che permette ai detentori dei diritti di rastrellare a mezzo tribunale i vari nominativi dei cattivoni del P2P. Ma è anche vero che gli Stati Uniti non hanno mai voluto scherzare da questo punto di vista, con cause a raffica contro mamme e liceali scariconi . Allora perché in Svezia c’è stata una crescita e gli Stati Uniti guidano il declino?
In Corea del Sud non è stato disconnesso finora alcun netizen, così come le autorità messicane non hanno usato un particolare pugno di ferro contro la condivisione selvaggia. Ma in entrambi i paesi c’è stata una crescita nel settore della musica digitale. Probabilmente merito di servizi come Spotify – popolare ad esempio in terra svedese – che hanno proposto un buon modello di business supportato dalla pubblicità.
Ma, per Kennedy, bisognerebbe “ridurre l’impatto della pirateria, in modo da evitare che gli investimenti e l’innovazione del nostro comparto industriale siano annullati. È una questione fondamentale per lo sviluppo del nostro settore. Anche in questo caso i segnali non sono molto incoraggianti. Regno Unito e Francia hanno intrapreso una lotta più dura contro la pirateria rinnovando il proprio impianto legislativo”.
Ma la Francia manca all’appello nella lista dei paesi in crescita stilata da IFPI, nonostante si avvicini l’effettiva implementazione dell’ormai nota dottrina Sarkozy . Secondo l’industria, la Spagna costituirebbe un esempio lampante di paese ricco di killer del copyright: lì, “dove il file sharing illegale è più del doppio del tasso medio in Europa”, si è visto crollare il mercato del 60 per cento dal 1999 .
Industria contro pirati, l’eterna sfida. Non solo sul campo delle entrate, ma anche su quello dell’occupazione. Secondo uno studio recentemente annunciato dalla società indipendente TERA Consultants , l’economia del lavoro in Europa avrebbe vissuto nel 2008 un momento particolarmente duro. Il file sharing illecito avrebbe fatto bruciare 9,9 miliardi di euro e quasi 200mila posti di lavoro . Sulla base delle attuali proiezioni dello studio, le industrie creative dell’Unione Europea potrebbero subire entro il 2015 perdite pari a 240 miliardi di euro e 1,2 milioni di posti di lavoro in meno . Dal 2008 al 2015, si prevede che il traffico di condivisione dei file in Europa cresca ad un tasso annuale di oltre il 18 per cento.
Cosa fare per arginare questa minaccia incombente? Una più che discutibile soluzione è stata portata avanti fin dal 2007 da Johan Schlüter, rappresentante del gruppo anti-pirateria danese. “La pornografia infantile è grandiosa perché i politici la comprendono – spiegava Schlüter nel corso di un convegno della Camera di Commercio statunitense a Stoccolma – Giocando questa carta, possiamo indurli ad agire e a far bloccare i siti web. E una volta che avremo fatto questo, potremo iniziare a far bloccare i siti di file sharing”.
“Un giorno avremo un filtro gigante per la rete che svilupperemo in stretta collaborazione con IFPI e MPAA – continuava – Monitoriamo costantemente i siti web di pornografia infantile, per mostrare ai politici che il filtraggio funziona. La pornografia infantile è un problema che i politici comprendono”.
Mauro Vecchio