Il nord Europa dice di no alla Web Tax . Ma non si tratta soltanto di una presa di posizione, e soprattutto il diniego rischia di pesare oltremodo su quello che sembrava essere un approccio che in qualche modo aveva messo d’accordo quasi tutta l’Unione Europea. Invece la Web Tax dovrà tornare ora al Parlamento Europeo alla ricerca di un difficile accordo tra le parti.
La Web Tax
La Web Tax nasce come risposta all’evidente discrepanza nel modo in cui sono tassate le aziende europee e le grandi aziende (extracomunitarie) che trovano online il proprio mercato. Tali gruppi, generalmente identificati come Apple, Google o Facebook , tramite appositi schemi e mirati flussi di denaro riescono ad eludere la tassazione pagando soltanto una cifra minimale. Nulla che non sia legale, sia chiaro, ma il cosiddetto “doppio sandwich” è chiaramente qualcosa che grida vendetta quando in ballo vi sono entrate comunitarie, tassazione alle aziende europee, occupazione e competitività.
La Web Tax doveva essere un modo per trovare un compromesso che risolvesse una questione tanto spinosa quanto di difficile risoluzione, poiché consiste in un accordo a livello UE per la creazione di una tassazione univoca, stabilita nella misura del 3% del fatturato . Tale proposta vede l’Italia tra i principali promotori, tanto che anche la misura del 3% è stata giudicata eccessivamente remissiva nei confronti degli “over the top” del digitale.
Ma il nord non la vuole
Le contestazioni di tre paesi ( Svezia, Danimarca e Finlandia ) sollevano però un dubbio che costringe la Web Tax a fare un passo indietro: è legittimo pensare ad una tassazione che, invece di gravare sui guadagni, va a tassare il fatturato? Insomma: così facendo non si va in direzione contraria rispetto ai principi della tassazione europea? Non si andrebbero ad ostacolare le aziende con margini inferiori rispetto a quelle (proprio le “over the top”) con margini superiori, creando un contesto favorevole per i big e sfavorevole per i nuovi “unicorni” nascenti?
Sebbene si tratti di una contestazione per molti versi legittima e comprensibile, non è difficile leggervi tra le righe anche una sorta di azione di autodifesa: alcune grandi aziende del digitale hanno infatti sede proprio nel nord Europa e la Web Tax potrebbe portare queste ultime a ripensamenti, con effetti negativi tanto negli introiti nazionali, quanto nell’occupazione. Un esempio: Spotify ha sede in Svezia , paese che molto ha fatto in questi anni per l’adozione delle start-up e la costruzione di un contesto ideale per far maturare un sano ecosistema digitale. Il rischio di una Web Tax è nella svalutazione degli sforzi fatti in questo periodo e nell’eventuale fuga di gruppi che altrove potrebbero trovare indifferentemente medesime condizioni. Normale, quindi, che paesi in queste condizioni chiedano all’UE il rispetto di principi basilari per non veder minato il proprio costrutto.
Svezia, Danimarca e Finlandia chiedono che il discorso della tassazione possa essere spostato a livello globale , spostando la partita dall’UE all’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD). Anche questo approccio appare del tutto legittimo poiché aziende globali come i big del Web non possono teoricamente essere gestite se non da accordi transnazionali. Tuttavia l’UE sembra voglia arrivare alla Web Tax quantomeno come misura transitoria per poi alzare l’asticella. Si parte infatti dall’attuale situazione di tassazioni nazionali (differenti e diseguali, tali da consentire meccanismi alla “doppio sandwich”), ma appellarsi all’OECD rischia di procrastinare tale scenario per molti anni ancora. La Web Tax sarebbe invece un intervento temporaneo , imperfetto e forse non sufficiente, per smuovere le acque e drenare denaro in attesa di un accordo di più ampio respiro.
Toccherà al Parlamento Europeo sbrogliare la matassa, cercando un accordo tra i paesi che rimarrebbero volentieri fermi al passato (Olanda, Lussemburgo, Irlanda), quelli che premono per una azione immediata (Italia, Spagna, Germania, Francia) e quelli che vorrebbero spostare il discorso a misure futuribili più ambiziose (Svezia, Danimarca, Finlandia). Una sintesi di ampio consenso su questa questione sarebbe forse uno dei migliori collanti per un solido futuro europeo.