Intel intende raccogliere l’SOS lanciato dall’industria automotive e si impegna a produrre chip dedicati per il settore entro i prossimi 6-9 mesi. Che la situazione si sia fatta delicata è cosa chiara a tutti, ma per uscirne non sembra più possibile l’iniziativa estemporanea di singole aziende: il problema dei chip è un problema di filiera ed occorrerà massimo coordinamento per poterne ricavare soluzioni plausibili e rapide.
L’Occidente si riorganizza
Non a caso il primo passo di Intel è stato alla Casa Bianca, dove il CFO del gruppo è stato ricevuto per discutere su ciò che si sarebbe potuto fare per aggirare un problema che rischia di strozzare l’economia proprio nel momento in cui avrebbe bisogno di maggior ossigeno. Precedentemente il gruppo aveva avuto incontri simili in Europa, candidandosi di fatto a diventare la stampella dell’Occidente nel segmento dei chip.
Intel non ha divulgato i dettagli sugli accordi siglati, ma tra i brand che potrebbero beneficiare dell’iniziativa vi sarebbero General Motors, Ford, Volkswagen, Alphabet, AT&T e altri ancora, con produzione dei chip dislocata negli stabilimenti in Oregon, Arizona, New Mexico, Israele e Irlanda. Intel passerebbe nel giro di breve dal produrre il 12% dei chip utilizzati negli Stati Uniti ad una quota superiore al 30%, calmierando quindi la pressione che le frizioni geopolitiche potrebbero riversare su questo fronte.
La sensazione è che Europa e USA si stiano attrezzando per rendersi autonome rispetto all’Oriente su tutta la filiera dei chip: dalla progettazione alla produzione, creando un’autarchia che non deve essere forzatamente di fatto, ma deve evitare tentazioni di ostracismo alla controparte orientale. Gli USA possono avere ruolo di leadership in questo frangente ed Intel può avere un ruolo fondamentale nell’armare le buone intenzioni della presidenza Biden. Al termine di questa nuova guerra fredda dei chip se ne uscirà con un mercato profondamente ridisegnato, con l’Occidente obbligato ad investire molto, ma destinato ad avere maggior libertà rispetto all’attuale dipendenza da Cina, Corea e Taiwan.