Bucarest – Consentire a chiunque abbia un sito web, di vendere dalle proprie pagine brani musicali e suonerie sapendo fin da subito quanto dovrà versare di diritti d’autore e definendo i margini di guadagno. Questa l’idea dell’ ORDA , curiosa sigla della Commissione degli arbitri dell’Ufficio rumeno sul diritto d’autore.
Come riportato da EDRI la svolta consisterebbe nella definizione di un prezzo fisso di vendita e di una particolare strategia di “liberalizzazione”, se così si può dire, del mercato musicale online.
“Gli utenti internet rumeni – scrive EDRI – pagheranno un quantum fisso annuale per qualsiasi genere di musica intendono offrire attraverso il proprio sito sia come streaming che come downloading, un fisso che sarà pari a circa 80 euro”. Se l’offerta via web contempla la vendita di musica allora il gestore del sito dovrà pagare il 10 per cento del ricavato all’ente omologo dell’italiana SIAE . Una somma che dovrà essere costituita almeno dall’equivalente di 8 centesimi di euro per ogni traccia scaricata, indipendentemente dall’origine della musica.
E’ in fondo proprio questa la svolta, perché chiunque potrà piazzare musica in vendita sulle proprie pagine, cederla alle condizioni desiderate, con l’unico requisito di versare com’è ovvio il diritto d’autore corrispondente.
Di assoluto interesse il fatto che i detentori dei diritti che non vogliano che la propria musica sia oggetto di queste attività dovranno espressamente richiedere di essere inclusi in una lista di brani che non potrà essere usata dai gestori di siti web. Ciò significa quindi dare la stura ad una varietà di servizi di cessione via web di musica potenzialmente davvero ampia.
La portata di questa evoluzione è mitigata dal fatto che gran parte della musica online oggi viene scaricata e scambiata con strumenti diversi dal web ed è dunque tutto da verificare il reale impatto di un’operazione del genere.
A questa singolare e inedita scelta si è arrivati perché la società che raccoglie i diritti degli editori, i provider e i fornitori di suonerie non sono riusciti a trovare un accordo. E non è quindi un caso che proprio i provider abbiano richiesto una revisione della strategia dell’ORDA, ritenendo troppo elevata la “tassa” del 10 per cento.