In futuro gli ad-blocker di Chrome potrebbero smettere di funzionare o risultare meno efficaci di quanto non siano oggi, continuando però a operare con la stessa efficienza per gli utenti enterprise che sottoscrivendo un abbonamento ai servizi premium costituiscono una fonte di reddito per bigG. È quanto emerge dalle più recenti proposte di modifica per la definizione del Manifest V3.
Chrome: ad-blocker solo enterprise?
Si tratta della piattaforma sulla quale si baseranno le estensioni destinate al browser di Google. Attualmente fanno leva sul Manifest V2 approvato e introdotto nell’ormai lontano 2012. Tra i cambiamenti messi in cantiere, anche la limitazione dell’accesso ad alcune API utili per bloccare i contenuti incontrati durante l’attività online, advertising compreso. A scatenare la discussione la modifica al documento in cui il gruppo di Mountain View mette nero su bianco quali sono le sue intenzioni.
Chrome sta deprecando l’utilizzo della webRequest API con fini di blocco nel Manifest V3, non l’intera webRequest API (nonostante il blocco continuerà a restare disponibile per le implementazioni enterprise).
In sintesi, la webRequest API oggi impiegata da ad-blocker come uBlock Origin e Ghostery potrebbe non risultare più accessibile se non da coloro che dispongono di un account premium. Questo tipo di estensioni potrebbe in ogni caso far ancora leva sulla declarativeNetRequest API (alla base ad esempio da AdBlock Plus), ritenuta però meno efficace quando si tratta di fermare la visualizzazione delle inserzioni pubblicitarie in quando limitata all’utilizzo di 30.000 regole. Attualmente EasyList ne integra circa 75.000. A tal proposito, bigG ha dichiarato di essere disponibile a vedere il tetto verso l’alto.
Stiamo pianificando di incrementare questi valori, ma non avremo numeri aggiornati prima di aver eseguito test di performance al fine di trovare un buon limite superiore che funzionerà su tutti i dispositivi.
Il motivo della decisione, destinata a scontentare milioni e milioni di utenti del browser Chrome, non è un mistero. La principale fonte di profitto per Google e di conseguenza per la parent company Alphabet rimane ancora oggi quella legata all’advertising, nonostante un business ormai parecchio diversificato. Gli ad-blocker, per farla breve, influiscono negativamente sulle entrate, come si legge senza troppi giri di parole in un documento depositato di recente presso la Securities and Exchange Commission statunitense.
Tecnologie nuove o esistenti potrebbero compromettere la nostra abilità di personalizzare le inserzioni e/o bloccare la loro visualizzazione online, provocando un danno al nostro business.
Ecco dunque spiegato perché l’azienda, forte della posizione di leader detenuta da Chrome, potrebbe scegliere di rendere la vita più complicata a coloro che si affidano a un ad-blocker durante la navigazione, così da evitare la visualizzazione delle pubblicità, nonostante questo vada a impattare sia sul sostentamento dei siti visitati sia sul business dello stesso gruppo di Mountain View. Potrebbe fare un’eccezione per gli utenti enterprise, poiché da questi trae profitti attraverso altri canali, in primis mediante la fornitura di servizi premium.