Nel giugno 2020, una class action promossa negli Stati Uniti ha chiesto 5 miliardi di dollari a Google (e alla sua parent company Alphabet) per il tracking degli utenti eseguito durante l’impiego della modalità Incognito di Chrome. Ora, il gruppo di Mountain View sembra aver raggiunto un accordo con la controparte. Si eviterà così il processo che avrebbe altrimenti preso il via nella seconda metà di febbraio.
La class action sulla modalità Incognito di Chrome
Non sono stati resi noti i termini della stretta di mano. Dovrebbero essere comunicati tra poche settimane, entro la fine di gennaio. Più nel dettaglio, la causa legale ha puntato fin da subito il dito contro bigG per l’attività di raccolta dei dati inviati poi ai propri servizi Analytics e Ad Manager, oltre a quella effettuata dai plugin presenti nelle pagine aperte e dalle applicazioni installate sugli smartphone.
Insomma, secondo i suoi sostenitori, non sarebbero state mantenute le promesse di un’esperienza totalmente rispettosa della privacy come molti invece si aspettano attivando la modalità Incognito del browser.
Nello screenshot qui sopra, la schermata mostrata da Chrome non appena attivata la modalità Incognito. Avvisa quali sono le informazioni che non saranno salvate e quelle che potranno risultare visibili. Permette inoltre di scegliere se consentire o meno l’azione dei cookie di terze parti (che il software inizierà a mettere al bando tra pochi giorni).
Nella documentazione a sostegno della propria causa, i promotori della class action hanno allegato email scambiate internamente da alcuni dirigenti di Google. In queste, si discuteva di come far leva sui dati relativi all’utilizzo della modalità Incognito per monitorare il traffico e per spingere la vendita delle inserzioni pubblicitarie.
Il procedimento legale sta dunque per giungere al termine. I primi a denunciare la dinamica sono stati due cittadini californiani (Chasom Brown, Maria Nguyen) e uno della Florida (William Byatt). Nell’agosto scorso, il giudice ha stabilito quanto segue, respingendo la richiesta di giudizio abbreviato presentata dalla società.
La mozione di Google si basa sull’idea che i querelanti abbiano acconsentito affinché Google raccogliesse i loro dati mentre navigavano nella modalità privata. Poiché Google non ha mai esplicitamente reso noto agli utenti di farlo, la Corte non può ritenere un fatto che gli utenti abbiano acconsentito esplicitamente alla raccolta dei dati in questione.