Accorpare i due approcci tradizionali e contrapposti all’implementazione dell’intelligenza artificiale in una “grande teoria unificata” dell’IA, unendo gli aspetti positivi di entrambi e limando la tecnologia fino a renderla meno esosa di capacità computazionale. È quello a cui sta lavorando Noah Goodman, ricercatore del MIT che dice di aver trovato la strada maestra capace di portare allo sviluppo di un’intelligenza artificiale di nuova generazione .
Gli approcci sin qui seguiti per la creazione di algoritmi intelligenti si dividono in due: da un lato c’è quello “classico” della compilazione di uno schema composto da regole ben precise, attraverso le quali la macchina “intelligente” dovrebbe essere in grado di dedurre logicamente quello per cui non è stato espressamente programmata; dall’altro c’è quello più moderno del calcolo probabilistico, dove il computer è lasciato solo nella creazione delle sue regole comportamentali in base a una lunga serie di esempi forniti dai suoi creatori.
Seguendo i dettami dello schema di regole fisse, dicono i ricercatori, una macchina non potrebbe mai ipotizzare l’esistenza di uccelli che non possono volare se qualcuno non provvedesse a comunicarglielo con apposita programmazione .
Nel caso delle probabilità, invece, il sistema funziona bene quando si tratta di estrapolare fatti abbastanza concreti (com’è appunto l’esistenza di uccelli che non sono in grado di volare) ma fallisce miseramente nel caso dei concetti astratti (“volo”, “grammatica”, “supereroi” e via elencando).
Se l’IA abbandona del tutto un sistema di regole basilari perde davvero troppo, dice Goodman, secondo la cui opinione una “teoria unificata” dell’intelligenza artificiale non può che prendere il meglio dei due mondi antitetici per raggiungere un nuovo livello di sofisticazione. Questo livello di sofisticazione si chiama Church , un linguaggio di programmazione in grado di auto-generare regole basate sulle probabilità via via che incontra situazioni nuove e inaspettate.
Secondo quanto prevede il nuovo paradigma, un software “intelligente” è convinto al 99,99% che gli uccelli possono soltanto volare. Man mano che l’agente entra in contatto con animali come pinguini e pettirossi feriti, poi, quella soglia di probabilità si abbassa fino a inglobare – di sua volontà e iniziativa – tutte le eccezioni che secondo il modello classico si sarebbero dovute codificare all’interno del programma originario.
Secondo quanto sostiene Goodman, nelle prove sin qui sostenute Church si è già dimostrato molto più adatto a mimare l’intelligenza umana rispetto alle IA di precedente generazione. Non che il lavoro sia già concluso, dicono dal MIT, perché il nuovo linguaggio di programmazione deve essere ulteriormente raffinato e migliorato. E per chi già cominciasse a preoccuparsi della sollevazione di un esercito di macchine senz’anima, i ricercatori assicurano che Church necessita ancora di troppa potenza elaborativa per permettersi di simulare realmente l’intelligenza dei suoi sviluppatori umani.
Alfonso Maruccia