Le autorità cinesi hanno tratto in arresto oltre 1100 persone in una offensiva organizzata contro il malaffare, mettendo nel mirino una pratica particolare: l’uso di criptovalute per il riciclaggio di denaro sporco. In particolare le organizzazioni criminali identificate avrebbero utilizzato non meglio precisate criptovalute per convertire e “ripulire” denaro di provenienza illecita attraverso appositi exchange.
Criptoriciclaggio
Le organizzazioni (ben 170 quelle identificate e fermate) avrebbero imposto fee tra 1.5% e 5%, ma i dettagli non sono stati fin qui troppi: il Ministro della Pubblica Sicurezza ha ribattezzato l’operazione “Card Broken” ed ha spiegato che si è estesa su un grande numero di province e regioni autonome cinesi.
La truffa inizia in realtà sul fronte bancario e telefonico, sottraendo denaro attraversi SIM truffaldine e dovendo quindi agire in qualche modo per riciclare le somme drenate. Gli exchange corrono in soccorso con un vero e proprio servizio di riciclaggio standardizzato, con tariffe fisse e condizioni evidentemente vantaggiose:
Spinti da interessi illegali, alcuni criminali forniscono attivamente servizi a bande di truffatori, aiutando le bande di truffatori a trasferire e riciclare denaro acquistando e scambiando valute virtuali e diventando complici criminali. Il Ministero della Pubblica Sicurezza attribuisce grande importanza a questo, e organizza forze speciali per studiare le caratteristiche di tali attività illegali e criminali.
Le bande ricevevano denaro corrente (proveniente da fonti illegali) e lo investivano in criptovalute attraverso bande appositamente organizzate, autentici service provider del malaffare. A questo punto questi intermediari trasferivano il denaro su appositi portafogli intestati ai “clienti”, i quali potevano così gestire a piacimento denaro automaticamente ripulito, non tracciabile e facilmente riconvertibile in denaro corrente.