Le transazioni in criptovalute erano già state messe al bando da tempo in Cina, decretando la fine del mondo crypto oltre la Grande Muraglia. Tuttavia mancava ancora un tassello fondamentale a ogni tipo di coercizione legale: la sanzione. Ora anche quest’ultimo aspetto è stato coperto dalla Corte Suprema cinese e per chi dovesse effettuare transazioni in criptovalute avrà ora grossi problemi da affrontare.
“Sulla base della revisione del diritto penale e della prassi giudiziaria, si decide di modificare l’interpretazione della Corte suprema del popolo su diverse questioni riguardanti l’applicazione specifica del diritto nel processo dei casi penali di raccolta illegale di fondi“: così la Corte introduce l’interpretazione giuridica n.5 del 2022. Di fatto le transazioni con crypto asset vengono equiparate ad una raccolta fondi illecita, fissando le relative sanzioni penali e pecuniarie sulla base del quantitativo di denaro correlato.
Criptovalute, c’è il carcere
Il rischio è di incorrere in condanne fino a 10 anni di detenzione ed in sanzioni fino a 80 mila dollari. L’interpretazione fornisce tutta una serie di dettagli utili a districare la normativa, la quale risulta però ulteriormente complicata da sfumature locali relative anche all’inquadramento del mining in quest’ottica: in alcune provincia, ad esempio, sono state imposte tariffe aggiuntive sul consumo dell’elettricità, così da imporre oneri superiori a quanti traggono lucro da attività legate alle criptovalute.
Tutte le decisioni saranno attive a partire dal 1 marzo, giorno in cui utilizzare criptovalute sul territorio cinese diventerà operazione tanto grave da portare addirittura alla possibile detenzione. Il Paese, insomma, non ha più intenzione di tollerare questo tipo di flussi sul proprio territorio, forse anche in considerazione del ruolo che le criptovalute stanno assumendo nello scontro tra Ucraina e Russia consentendo sacche di valore nascosto che in caso di evento bellico potrebbero esplodere al di fuori del controllo centrale.
La Cina è uno dei Paesi che con maggior determinazione ha bloccato le criptovalute dopo esserne stata patria per lungo tempo. Il mining è stato spinto fuori a forza e proprio la Russia si è trovata ad ospitare gran parte dei server profughi grazie al basso costo dell’energia che vige in un Paese tanto ricco di materie prime quali gas o petrolio. La sfida internazionale sui consumi energetici potrà dire molto in futuro sul baricentro delle criptovalute nel mondo, baricentro che però in questo frangente sembra spostato soprattutto sui due poli che sembrano essere improvvisamente tornati al centro della geopolitica internazionale: USA e Russia.