Se gli hacker iraniani fanno paura , quelli cinesi continuano a rappresentare un cruccio quotidiano per l’intelligence statunitense: un nuovo rapporto del Pentagono mette in evidenza come i cyber-criminali di Pechino abbiano messo le mani su dati estremamente importanti in merito ai sistemi di armamento in dotazione agli USA.
Il rapporto – una copia del quale è entrata in possesso dei giornalisti del Washington Post – segue a breve distanza l’allarme lanciato di recente sul ritorno in piena attività della famigerata Unità 61398 : gli hacker hanno messo le mani su più di due dozzine di sistemi di armi statunitensi, sostiene il Pentagono, anche se al momento non è noto il vettore attraverso cui sono passate le cyber-spie per rubare le informazioni.
I documenti di design con cui gli agenti cinesi sono venuti in contatto comprendono il sistema missilistico Patriot (PAC-3), il jet F/A-18, il V-22 Osprey, l’elicottero Black Hawk e altro ancora. I contractor e le agenzie federali coinvolte nella nuova breccia di sicurezza sono in genere all’oscuro di tutto, conferma una fonte del Post , almeno “finché l’FBI non arriva a bussare alla loro porta”.
I danni provocati dalle cyber-spie sono di natura economica – valgono miliardi di dollari – ma soprattutto strategica, dicono gli ufficiali, e con le informazioni rubate la Cina potrebbe risparmiarsi 25 anni di lavoro e investimenti portando le proprie dotazioni militari allo stesso livello di quelle statunitensi.
Un altro caso di cyber-spionaggio di cui gli hacker cinesi si sarebbero resi protagonisti riguarda invece l’Australia, dove ignoti agenti di Pechino sarebbero entrati in possesso dei piani di costruzione segreti della nuova sede della Australian Security Intelligence Organisation (ASIO). In questo caso i danni sarebbero meno estesi ma altrettanto pericolosi per i servizi segreti del paese.
La versione cinese sulle nuove – e sempre più insistenti – accuse di cyber-spionaggio contro i paesi occidentali tende a essere sempre uguale a se stessa : Pechino tiene in buon conto i problemi di cyber-sicurezza, dicono rappresentanti e portavoce, e respinge le accuse senza prove provenienti da USA, Australia o chiunque altro.
Alfonso Maruccia