Molte raccolte di link ai contenuti postati online dagli utenti sono state irraggiungibili dalla Cina per due giorni. Sono bastati due giorni di latitanza per scatenare dubbi e polemiche: in molti ritengono che Pechino abbia imposto un argine alla circolazione dei contenuti, i provider sarebbero stati invitati a sequestrare il traffico dei cittadini della rete, a dirottarli verso rivoli di contenuti che scorrono in maniera meno impetuosa.
La prima lista nera dei siti nel mirino delle autorità è comparsa nei giorni scorsi: sull’onda montante di una pirateria che lamentano i detentori dei diritti del mondo intero, forse per impedire che i cittadini si trastullino con il materiale sconveniente che circola in certe reti, le autorità della Repubblica Popolare hanno imposto la chiusura di dieci siti particolarmente minacciosi. Un provvedimento che non è servito a impensierire altri servizi citati nella lista stilata dalle autorità in qualità di destinatari di un richiamo.
Il cittadino della rete che avesse desiderato attingere a IsoHunt per procacciarsi i binari per installare un software distribuito liberamente in rete o coloro che vi si fossero rivolti per godersi l’anteprima di un album musicale ancora irreperibile sul mercato locale sono stati reindirizzati senza distinzione verso la pagina principale di Baidu , il motore di ricerca più utilizzato oltre la Grande Muraglia digitale, già destinazione di dirottamenti del traffico ordinati dalla autorità di Pechino.
Così è accaduto per gli utenti di VeryCD, un raccoglitore di link P2P nonché produttore di una variante del client eMule molto utilizzata in Cina, ma anche per quelli di Mininova, di www.emule.org.cn e di altri raccoglitori di link alle risorse condivise dai netizen online. Lo stesso avviene da tempo per The Pirate Bay.
Il sequestro dei domini è stato operativo per due giorni, poi tutto è tornato alla regolarità: se c’è chi non esclude che si sia trattato di un problema tecnico, sono in molti a sospettare che il governo cinese si stia misurando in prove tecniche di contrasto alla pirateria. La pensa così un cofondatore di Mininova che, oltre a ritenersi onorato del fatto che il suo servizio sia stato censurato al pari di Wikipedia e YouTube, aggiunge che “fortunatamente le perone incaricate hanno preso la decisione più giusta e hanno compreso che bloccare un motore di ricerca come Mininova non sarebbe una buona idea”. A maggior ragione se i netizen cinesi avessero dovuto essere dirottati verso Baidu, motore di ricerca che opera alla perfezione anche con i contenuti protetti dal diritto d’autore.
Gaia Bottà