Lo scoppio della guerra in Ucraina, la rovinosa caduta delle filiere di approvvigionamento internazionali ed i sempre più forti attriti tra USA e Cina avevano lasciato ipotizzare la fine del mondo globalizzato ed il ritorno ad un mondo organizzato in blocchi di influenza. Questa lettura geopolitica sembra trovare pesante conferma nelle notizie provenienti dalla Cina, dove la scelta politica è stata quella di isolare il mondo tecnologico rispetto alla dipendenza dall’occidente.
L’ordine è quello di sostituire i computer stranieri con quelli locali entro due anni: hardware e software utilizzati negli uffici delle istituzioni statali dovranno essere sviluppati in loco, abbandonando quindi tutte le soluzioni estere (principalmente americane) per tagliare ogni legame e ogni dipendenza. Addio Windows, addio macOS, sebbene non sia in realtà la prima volta: già da anni la Cina ha manifestato questo interesse, ma non è mai andata fino in fondo con le proprie scelte e non è mai
Autarchia cinese
Una scelta autarchica, insomma, per evitare che nel lungo periodo la Cina debba continuare a dipendere dall’occidente e che eventuali restrizioni (come quelle comminate alla Russia) possano mettere in ginocchio l’economia oltre la Grande Muraglia. Una scelta di difesa, insomma, che avrà costi enormi, ma che la Cina ritiene necessario affrontare fin da oggi per evitare ripercussioni future.
La conseguenza è chiara, pur se non perfettamente simmetrica: quel mondo occidentale che molto dipende dall’hardware orientale, si troverà in sempre maggiori difficoltà di approvvigionamento; quel mondo orientale che moltissimo dipende dal software occidentale, si troverà in sempre maggiori difficoltà di vendita e di ingegnerizzazione. Le ricadute saranno pertanto probabilmente forti su ogni singola azienda, poiché così come HP e Dell potrebbero trovarsi in difficoltà nel vendere sul mercato cinese, allo stesso modo Lenovo potrebbe ritrovarsi nell’obbligo di sostituire i software in uso e inventarsi nuove soluzioni in termini di sistemi operativi adottati. Il quadro della situazione è per ora sufficientemente confuso.
Microsoft perderà il mercato software cinese così come Apple perderà la possibilità di distribuire Mac, iPhone o Apple Watch? Lenovo e Huawei avranno la responsabilità di guidare le dinamiche innestatesi con questo isolazionismo? Si partirà da quei 50 milioni di PC che il governo centrale cinese intende rapidamente sostituire presso gli uffici istituzionali, in attesa di comprendere se i due poli sapranno riavvicinarsi (pur con minori interdipendenze) o se invece le frizioni andranno ad estendersi traslando i vincoli anche ai mercati privati e aziendali. Quest’ultima ipotesi appare al momento assai remota, sia per una oggettiva difficoltà di sostituire le dinamiche proprie dei mercati globali, sia perché al momento si sta semplicemente parlando di una legittima autotutela che costringe ambo i poli ad una maggior consapevolezza circa i limiti di interdipendenza che la globalizzazione ha calato sugli stati nazionali.
La Cina si è data due anni di tempo. L’Occidente, che già in passato ha cancellato dalla propria orbita una serie di brand accusati di collaborazionismo con le istituzioni cinesi, proseguirà la propria cautela in questo sforzo di ricostruzione degli equilibri produttivi e di sviluppo. Mentre la scintilla ucraina è ancora in piena deflagrazione, c’è già chi guarda al prossimo terreno di scontro, probabilmente spostato nell’area del Pacifico e presumibilmente giocato fin da oggi su queste mosse strategiche a metà tra gli equilibri di mercato e le dinamiche tecnologiche scritte in termini di hardware e software.