La Cina ha messo al bando le ICO , Initial Coin Offering , i sistemi di raccolta fondi basati sulle criptovalute.
Tutto parte dalla nota di un comitato guidato dalla Banca centrale cinese che invocava il bando dei sistemi di finanziamento tramite ICO definite “un rischio serio per l’ordine economico e finanziario”: da allora – secondo fonti locali – 60 raccolte fondi sono state sottoposte ad ispezione e, nel frattempo, tutte le ICO sono state interrotte in Cina .
Inizialmente erano state ICOage e ICO.info , due delle principali compagnie del Paese che offrono servizi di intermediazione tra venditori di token e acquirenti, ad annunciare la sospensione volontaria dei propri servizi.
Nel frattempo, tuttavia, Pechino ha reso il bando completo con la disposizione che obbliga tutti coloro, sia privati che aziende, che hanno già ricevuto fondi ICO a raggiungere accordi per restituirli. La prima conseguenza è stata che le quotazioni delle due principali criptovalute utilizzate per le ICO, Bitcoin ed Ethereum, sono crollate nelle ore immediatamente successive all’annuncio.
Anche l’istituzione statunitense Security Exchange Commission ha adottato una stretta in particolare sulle offerte non registrate: secondo la commissione le ICO rappresentano una pericolosa intersezione tra mercati finanziari ed economie più fluide e non regolate come quelle delle criptovalute. In questo senso appaiono evidenti i rischi collegati a possibili fluttuazioni delle monete e al loro sfruttamento in frodi fiscali e schemi piramidali.
Le stesse preoccupazioni sono state ora sollevate dal comitato finanziario cinese, che aggiunge la paura che le ICO vengano utilizzate per il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento di gruppi terroristici . In primo piano per Pechino vi è insomma anche la questione della natura anonima delle transazione effettuate tramite le criptovalute. In questo senso non si può slegare le questioni finanziarie dalla stretta anti-anonimato implementata da Pechino negli ultimi mesi .
Claudio Tamburrino