Due ore di totale blackout, la grande tenebra sul web asiatico. Vano qualsiasi tentativo da parte degli utenti cinesi, bloccati alle porte di social network e piattaforme di microblogging. Da Facebook al motore di ricerca locale Baidu , dai popolari Weibo e Tencent ai più elementari servizi di posta elettronica.
Nella mattinata di ieri, l’intero ecosistema connesso è finito KO da Pechino a Hong Kong. Colpa del tremendo terremoto che ha scosso l’Indonesia, almeno secondo le prime ipotesi circolate in Cina. Il blackout del web sarebbe stato generato dal danneggiamento dei cavi sottomarini .
La smentita è però arrivata tempestiva da parte dei due maggiori operatori locali di telecomunicazione China Telecom e Unicom . Il terremoto non avrebbe affatto danneggiato i cavi, né si tratterebbe di una problematica relativa ai network gestiti dalle due telco . L’oscuramento della Rete è diventato di colpo un mistero.
Qualcuno ha tirato in ballo il celebre collettivo hacktivista Anonymous, già scatenatosi contro alcuni siti cinesi per protestare contro la cybercensura da parte del governo di Pechino. Altri hanno invece puntato il dito proprio contro le autorità nazionali, che avrebbero condotto una sorta di esperimento ai danni di milioni di utenti.
Uno spegnimento generale per provare a simulare una condizione d’emergenza , nel caso in cui la Grande Muraglia Digitale decida di prendere più estremi provvedimenti contro la proliferazione di materiale sgradito al governo. Sempre secondo le indiscrezioni, nel mirino della cybercensura sarebbero finite le reti VPN usate dagli utenti per aggirare i blocchi.
Mauro Vecchio