Nove mesi di galera per la commercializzazione di soluzioni VPN (Virtual Private Network) su un sito Web: è questa la pena inferta a Deng Jiewei, ventiseienne originario della provincia del Guangdong che gestiva il sito Web dove era in vendita il software VPN di cui sopra. Una sentenza che conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’intenzione della dittatura comunista di Pechino di spingere l’acceleratore sulla censura online .
La sentenza di condanna a Jiewei era stata in realtà emessa già mesi or sono ma solo ora le autorità ne hanno dato notizia, mentre il software VPN era in vendita già da ottobre 2015. Il giovane netizen è stato inizialmente incarcerato nell’agosto del 2016, formalmente arrestato a ottobre e infine condannato definitivamente nel marzo scorso.
Le due soluzioni VPN vendute da Jiewei costituivano secondo le autorità un sistema di “violazione e controllo illegale” di sistemi informatici, un business per cui il giovane ha guadagnato – e diviso con un partner di affari – la “bellezza” di 14.000 Yuan (circa 1.800 euro).
L’articolo 285 della legge penale cinese richiamato dalla condanna cita espressamente le VPN come strumenti utilizzabili per interferire negli “affari di stato” cinesi, e prevede una condanna massima fino a 3 anni di carcere . Poco importa che gli utenti comuni interessati all’uso di una VPN vogliano, con tutta probabilità, solo accedere a quelle informazioni e notizie che Pechino preferisce invece tenere lontane dalla popolazione.
L’incarcerazione di Den Jiewei rappresenta l’ultima di una lunga serie di notizie riguardanti la censura cinese, una pratica che presto dovrebbe obbligare i provider di rete a bloccare completamente l’accesso alle connessioni VPN e che è stata già accolta da Apple con la messa al bando delle app VPN disponibili sullo store dei suoi gadget mobile. La regola è sempre quella di rispettare le leggi locali, si è giustificata Cupertino.
Alfonso Maruccia