Finito più volte sotto il fuoco incrociato di autorità e attivisti, il mining di Bitcoin è, come noto, un’attività incredibilmente energivora. L’infrastruttura decentralizzata su cui poggia la moneta genera consumi molto elevati. Secondo la University of Cambridge, brucia 127 TWh ogni anno. È più di quanto necessario per soddisfare il fabbisogno nazionale di Norvegia e Ucraina (per entrambe 124 TWh). Ne conseguono pesanti ripercussioni in termini di impatto sull’ambiente e sulle reti di distribuzione.
Anche per questo, lo scorso anno la Cina ha deciso di mettere al bando l’attività, colpendo così in modo duro il trading di criptovalute attraverso exchange come Binance.
Bitcoin mining: Cina seconda solo agli Stati Uniti
A quanto pare, però, l’effetto del ban è stato solo temporaneo. Lo svela il Bitcoin Electricity Consumption Index, elaborato dal Cambridge Centre for Alternative Finance, dopo aver raccolto informazioni provenienti da tutto il mondo. In seguito allo stop registrato tra luglio e agosto 2021, a settembre le operazioni sul territorio sono riprese a ritmo spedito e oggi il contributo al mantenimento della rete globale si attesta al 21,11%. È secondo solo a quello degli Stati Uniti con il loro 37,84%. I dati sono aggiornati al gennaio 2022 e vedono l’Italia con lo 0,11% della quota complessiva.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in più occasioni, il giro di vite imposto da Pechino ha spinto molti di coloro impegnati nel mining a cercare la nuova terra promessa. Tra i paesi che hanno maggiormente attratto gli addetti ai lavori c’è il Kazakistan (13,22%).
L’andamento altalenante degli asset (non solo BTC) in questo 2022, culminato con il #cryptocrash della scorsa settimana, ha in parte distolto l’attenzione dalle ripercussioni in termini di sostenibilità legate alla circolazione delle criptovalute. Eppure, il tema è stato tanto avvertito lo scorso anno da aver spinto nomi celebri a impegnarsi con iniziative come Bitcoin Mining Council. Tra questi figura anche quello di Elon Musk. La questione non potrà che tornare a tenere banco, soprattutto alla luce dei nuovi equilibri emersi sul fronte dell’approvvigionamento energetico in seguito all’esplosione della guerra tra Russia e Ucraina.
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