Pechino continua a stringere la rete della sua normativa per controllare le aziende straniere che operano nel settore dell’informatica: dopo essersi occupata delle aziende che forniscono soluzioni per la Pubblica Amministrazione e il governo, ha deciso ora di tenere sotto controllo anche quelle aziende che vendono prodotti al settore finanziario.
La Cina sembra aver intrapreso una strada intransigentemente autarchica, soprattutto dopo l’esplosione del Datagate in seguito alle rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio di massa portato avanti dall’agenzia di spionaggio a stelle e strisce National Security Agency e soprattutto dopo che alcuni hacker cinesi collegati a Pechino sono stati accusati di spionaggio davanti ai tribunali statunitensi.
Da allora i rapporti USA-Cina sul fronte della cybersicurezza sembrano essersi rotti, con la conseguenza che Pechino ha cercato di ridurre al minimo la presenza e l’influenza delle aziende straniere nel paese, nonché del software di provenienza estera. Così, ha imposto a Microsoft, Apple e le altre di sottostare ad una serie di controlli per operare con il Governo, ha eliminato Symantec e Kaspersky dalla lista di fornitori stranieri di antivirus ufficialmente approvati dalle autorità ed ha intensificato le operazioni di sviluppo in proprio di sistemi operativi e software ad hoc.
Continuando su questa strada, la Cina ha ora stabilito nuove regole da seguire per le aziende ICT fornitrici di banche ed aziende che operano nel sistema finanziario del sistema: in particolare devono rivelare il proprio codice sorgente per permettere all’autorità di controllarlo ed adottare un sistema crittografico stabilito da Pechino.
La nuova mossa della Cina ha naturalmente scatenato la reazione delle aziende straniere, che ora stanno cercando di intervenire diplomaticamente per ammorbidire le autorità locali.
Claudio Tamburrino