Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Giappone si lamentano per le nuove politiche commerciali messe in atto dalla Cina, che ha deciso di ridurre significativamente la quantità di terre rare esportate verso il resto del mondo favorendo invece il mercato interno.
Le lamentele nei confronti della superpotenza asiatica verranno ufficializzate presso il World Trade Organization (WTO), sigillo formale a uno scontro già in atto da tempo: dopo le rimostranze di rito, la Cina (anch’essa membro del WTO dal 2001) sarà costretta a negoziare con Washington, Bruxelles e Tokyo per raggiungere un accordo di risoluzione entro 60 giorni.
Qualora l’accordo non venisse stipulato, le regole del WTO prevedono la possibilità che venga avviata una vera e propria indagine dell’organizzazione sulle pratiche commerciali della Cina. L’obiettivo è far sì che a Pechino decidano di incrementare di nuovo l’esportazione delle terre rare, elementi chimici fondamentali per la produzione di dispositivi elettronici e hi-tech.
La Cina, neanche a dirlo, difende la propria politica di esportazione e la considera “in linea con le regole del WTO”: Pechino ha deciso di decurtare le esportazioni nella prima metà del 2012 del 27 per cento rispetto all’anno precedente, e ha decretato la riduzione delle aziende autorizzate a esportare, da 26 a 11.
C’è chi evidenzia il pericolo di calcare troppo la mano con il gigante cinese, che detiene il 30 per cento dei depositi noti di terre rare e costituisce il 97 per cento della produzione mondiale. Ma la riduzione delle esportazioni minaccia di fare danni ancora maggiori all’industria dell’hi-tech, con l’apertura di nuove miniere come “alternativa” alla dipendenza dalla Cina prevista al più presto entro il 2015.
Alfonso Maruccia