Le accuse mosse a Huawei e ad altre aziende cinesi (ZTE su tutte) in relazione a operazioni di spionaggio o potenziali minacce per privacy e sicurezza delle informazioni sono infondate. Questa la posizione di Zhang Ming, ambasciatore di Pechino, esplicitata in occasione della sua visita a Bruxelles. Il dito è puntato non solo verso gli Stati Uniti che hanno deciso di mettere al bando le infrastrutture della società, ma anche nei confronti dei paesi europei che fin qui hanno scelto di fare altrettanto.
Non è d’aiuto fare calunnie, attuare discriminazioni, esercitare pressioni, coercizione o diffondere speculazioni nei confronti degli altri.
Il caso Huawei e la posizione della Cina
Un ennesimo tassello nel puzzle sempre più complesso che fotografa i rapporti tra Huawei, principale player del mercato per quanto riguarda le infrastrutture di rete, il governo di Pechino e l’Occidente. I timori sollevati dagli USA in merito alle campagne di spionaggio che potrebbero essere perpetrate tramite i network mobile di prossima generazione hanno spinto i governi di paesi come la Nuova Zelanda a stracciare ogni contratto per la fornitura. Una discussione intavolata anche nel vecchio continente, con la Polonia che ha chiesto all’UE di pronunciarsi in merito. Tutto questo mentre ci si appresta ad allestire le reti sulle quali viaggeranno i dati nell’epoca del 5G.
Per Zhang Ming un atteggiamento di questo tipo è da ritenere irresponsabile, poiché non vi sarebbe alcuna prova certa di un coinvolgimento di Huawei in operazioni promosse dalla Cina a livello governativo. Le vere ragioni di questa campagna diffamatoria, secondo l’ambasciatore, sono ben altre (nel suo intervento non lo esplicita, ma presumiamo di natura economica).
Sarebbe davvero irresponsabile e porterebbe a serie conseguenze per la cooperazione economica e scientifica su scala globale.
Se da un lato anche il rapporto tra Europa e Cina di recente si è fatto teso, soprattutto per quanto concerne la sicurezza, dall’altro le visioni delle due parti potrebbero convergere nel tentativo di opporsi alla politica di impronta nazionalista e protezionista voluta da Trump. Una prospettiva le cui ripercussioni non andrebbero a interessare solo l’ambito tecnologico o la fornitura di infrastrutture per il 5G, portando a conseguenze di più ampio respiro sui delicati equilibri che regolano scambi commerciali e relazioni diplomatiche a livello globale.
Meng Wanzhou e il Canada
Nel frattempo Meng Wanzhou, CFO di Huawei arrestata all’inizio di dicembre in Canada, rimane in attesa della sentenza del giudice relativa alla richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti. In questo caso l’accusa è di frode, più nello specifico di aver violato le sanzioni contro l’Iran.
Il caso è andato complicandosi nei giorni scorsi, quando il premier canadese Justin Trudeau ha deciso di sollevare dal proprio incarico John McCallum, ambasciatore del paese in Cina. A costargli il posto sono state le dichiarazioni secondo le quali Meng Wanzhou potrebbe contare su solide argomentazioni per uscire a testa alta dal processo che la attende. La scorsa settimana il quotidiano Toronto Star ha riportato un virgolettato di McCallum secondo cui “sarebbe fantastico per il Canada” se gli Stati Uniti ritirassero le accuse nei confronti della CFO.