Proprio quando le notizie per il mondo Bitcoin tornano a farsi più frizzanti, forti della quotazione in aumento nuovamente al di sopra dei 5.000 dollari con relativa continuità, dalla Cina arriva un’ennesima ombra lunga che rischia di abbattere ancora una volta la fiducia riservata alle criptovalute. Tutto emerge da un semplice documento di programmazione con il quale si apre una consultazione relativa al mining. Fenomeno che il paese guidato da Xi Jinping, al momento a livello di mera probabilità, vorrebbe frenare se non addirittura impedire.
Cina: mining crypto ed energia elettrica
La notizia ha potenzialmente un grave impatto sul mondo delle criptovalute, poiché gran parte delle attività di mining a livello globale è stata realizzata in questi anni proprio sul territorio cinese, più in particolare in regioni come Xinjiang, Mongolia Interna, Yunnan e Sichuan, dove è stato per lungo tempo possibile accedere all’energia a costi maggiormente contenuti grazie alla presenza di carbone o impianti idroelettrici. Ciò ha permesso di renderla più lucrativa che non altrove. La dimostrazione nei grafici allegati qui sotto, tratti dalle pagine del sito Buy Bitcoin Worldwide.
Al tempo stesso, però, il consumo di elettricità da parte del mining è qualcosa che tutto il mondo già vede come un problema: la Cina, ove la programmazione ha una importanza particolare nell’economia statale, sta pensando di intervenire con misure ad hoc per rallentare prima e fermare poi tutte le operazioni in corso.
L’allarme è stato lanciato dal South China Morning Post, secondo cui la National Development and Reform Commission (NDRC) avrebbe aperto una consultazione relativa alle attività da promuovere, frenare o proibire in Cina negli anni a venire. Il mining rientrerebbe in quest’ultima fascia: qualora l’esito finale confermasse questo tipo di approccio, sul mining inizierebbero a fluire rincari dell’energia elettrica utili a scoraggiare (fino a soffocare) ogni attività.
Decentralizzare la moneta decentralizzata
Impossibile al momento fare previsioni: sebbene già si veda in questa iniziativa una buona occasione per decentralizzare il mining a livello mondiale, distribuendolo in modo più omogeneo su tutto il globo a seguito della possibile caduta dell’egemonia cinese, i dubbi principali sono relativi all’impatto che la cosa potrebbe avere sulle attività di mining e sul valore delle criptovalute. Non solo: se un nuovo macigno dovesse pesare sul profilo di sostenibilità del mining, quanti altri paesi potrebbero intraprendere medesime iniziative?
La Cina non vede da tempo di buon occhio le criptovalute, cosa che ha già portato il Paese a frenare gli Exchange negli anni passati. La nuova mossa potrebbe condurre alla definizione di nuovi equilibri all’interno di un ecosistema, quello delle monete virtuali, per sua stessa natura già soggetto a volatilità e che si presta a operazioni di mera speculazione. Vi sono connessi anche i business delle aziende che per un periodo hanno benecificato del boom di Bitcoin & co., compresa NVIDIA, che più di recente ha risentito del rallentamento della domanda di hardware da impiegare nelle mining farm.
Il South China Morning Post ha interpellato Bitmain Technologies, realtà di Pechino specializzata nella fornitura di apparecchiature dedicate espressamente a questo tipo di operazioni (nel 2017 controllava oltre il 70% del mercato globale), ma senza ottenere alcun commento sulla proposta avanzata da NDRC né sulle conseguenze di una sua possibile attuazione.