Lo scorso 15 novembre è stato approvato dal Parlamento un emendamento che introduce nella Finanziaria l’articolo 53-bis, che istituisce e disciplina in Italia la “class action” ovvero l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori. Si tratta in altri termini di uno strumento legale che permette di raggruppare una moltitudine di soggetti che hanno subito un danno provocato da un altro soggetto.
Tale novità consentirà ai consumatori di avviare azioni legali collettive contro le aziende in conseguenza di atti illeciti. La nuova norma prevede, infatti, l’attivazione della class action per ottenere rimborsi legati a contratti con clausole prestampate, a
pratiche commerciali illecite o a comportamenti anticoncorrenziali da parte di società fornitrici di beni o servizi. Misure specifiche sono poi previste per i contratti stipulati tramite telefono, oppure on line via internet: se il contratto è collegato ad un messaggio pubblicitario ingannevole, rende nulli i contratti nei confronti di tutti i consumatori o utenti durante il periodo di diffusione del messaggio.
Soggetti legittimati ad avviare tale tipo di azioni saranno, oltre alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, anche le ulteriori associazioni di consumatori, investitori e gli altri soggetti portatori di interessi collettivi legittimati, appositamente individuati con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.
Tale disciplina è destinata senza dubbio ad avere importanti riflessi nel panorama italiano.
Fino ad oggi, infatti, di fronte ad attività, talvolta illecite poste in essere dalle aziende ai danni di una pluralità di consumatori non era possibile esercitare un’azione collettiva risarcitoria, con la conseguente necessità di agire singolarmente nei confronti della medesima azienda fonte dell’illecito perpetrato. L’azione collettiva consentirà così a più consumatori di agire nei confronti del soggetto autore del danno come unica parte lesa, con la possibilità di unirsi in un’unica causa civile contro i responsabili dei soprusi subiti.
L’istituto della Class Action ha origine nel mondo anglosassone ove da tempo ormai si ricorre a tale strumento, diventato ormai l’incubo delle grandi multinazionali.
In particolare negli Stati Uniti nel 2001 una “class action” si concluse con una punizione esemplare contro Ford e Firestone per i pneumatici difettosi dei fuoristrada Explorer, che tendevano a sbandare ad alta velocità. Basti pensare che in quell’occasione la sola Firestone perse circa dieci miliardi di dollari.
Recentemente sono state poi promosse due azioni collettive nei confronti della Apple, in ordine alla problematica relativa allo sblocco degli iPhone da parte di numerosi utenti. In particolare le azioni (una promossa a livello del singolo stato della California l’altra a livello federale) sono volte a denunciare i comportamenti di presunto stampo monopolistico portati avanti da Apple e AT&T nei confronti dell’iPhone in grado infatti di funzionare soltanto con la rete telefonica AT&T. Oggetto delle azioni collettive è la volontà dei consumatori di vedere loro riconosciuto il diritto di sbloccare l’iPhone, usandolo con altri operatori, e di installarvi applicazioni di terze parti senza che questo porti al blocco del telefono e al decadimento delle condizioni di garanzia.
Sempre di recente è stata intenta una class action nei confronti di Microsoft accusandola di aver realizzato il logo “Windows Vista Capable” in maniera volutamente ambigua ed ingannevole, impedendo così di acquistare un computer in grado di far girare in maniera adeguata la versione desiderata di Windows Vista. Il logo “Windows Vista Capable” è stato apposto su numerosi Pc nel periodo di transizione tra il sistema operativo XP ed il nuovo Vista, assicurando in tale modo gli acquirenti di un nuovo computer sul fatto di poter aggiornare tranquillamente la propria macchina con il nuovo sistema operativo non appena questo fosse stato reso disponibile. I consumatori avrebbero tuttavia fatto emergere che il logo in questione assicura la piena funzionalità solo della versione Home Basic di Windows Vista, sprovvista di alcune caratteristiche molto apprezzate dall’utente medio, quale l’interfaccia Aero e il controllo remoto di Windows Media Center.
La denuncia eccepisce quindi che tale logo abbia tratto in inganno molti consumatori, ignari di acquistare una macchina insufficiente per far funzionare adeguatamente Windows Vista nella versione Premium. Sotto accusa sarebbe inoltre l’offerta di aggiornamento gratuito da XP a Vista, in quanto riguarderebbe sempre e soltanto il passaggio alla versione Home Basic.
Da questi brevi esempi si potrebbe facilmente presumere che anche in Italia lo strumento dell’azione collettiva sarà utile per rafforzare il potere dei consumatori, non più costretti ad agire individualmente e dunque in una posizione di debolezza rispetto allo strapotere delle grandi realtà economiche.
Tuttavia si è già da più parti osservato come il modello recentemente adottato in Italia ha introdotto due limiti che ostacolerebbero il successo che l’azione collettiva ha riscosso negli Stati Uniti.
In particolare, la class action opererebbe solo nel campo degli illeciti contrattuali, per cui ogni altro illecito di natura non contrattuale, che lede i diritti o arrechi dei danni a una pluralità di soggetti, non potrebbe essere materia di una simile procedura.
In secondo luogo, il riconoscere la legittimazione ad esperire la procedura esclusivamente alle associazioni dei consumatori limiterebbe il potere di iniziativa dei singoli utenti a cui diversamente negli Stati Uniti è riconosciuto il potere di avviare l’azione, radunando progressivamente altri consumatori danneggiati.
Soltanto i fatti dimostreranno pertanto se la nuova procedura introdotta dal legislatore italiano rappresenti o meno una maggiore tutela per il cittadino, in particolare nel settore telefonico-informatico.
Avv. Marco Masieri
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