Nuovo giro, nuova corsa: un secondo attacco all’istituto britannico di ricerca Climatic Research Unit ( CRU ) dell’Università di East Anglia (UEA) ha portato alla divulgazione di altre 5mila email che tirano nuovamente in ballo la credibilità degli scienziati che si occupano di riscaldamento globale.
In seguito al primo attacco era stato coniato il termine climagate : alla berlina erano finiti gli scienziati dell’istituto di ricerca, accusati di produrre bugie per denunciare i pericoli del riscaldamento globale e infiammare così la polemica sull’argomento . Al centro della vicenda vi era la presunta edulcorazione dei dati di circa 3mila diversi documenti che traspariva dalla lettura delle migliaia di email ottenute dal cyber attacco: secondo gli scienziati solo il risultato di una lettura fuori contesto della loro conversazione privata e informale.
Anche nelle email ora divulgate, come nel caso precedente, vi sono frasi che, almeno se estrapolate dal contesto, sembrano gettare un’ombra su questo settore della ricerca .
Uno degli scienziati scrive ad un suo collega “cosa succederebbe se il cambiamento climatico alla fine risultasse causato soprattutto da una fluttuazione naturale multidecade? Ci distruggerebbero”. Un altro scrive di essere “particolarmente scettico sulla qualità delle presenti ricostruzioni”. Il professor Phil Jones, ora direttore del CRU, scrive addirittura che “tutti i modelli sono sbagliati”.
L’Università, per la verità, stavolta non ha confermato la veridicità delle email, dichiarando di non avere le prove di un nuovo attacco informatico subito e supponendo che possano essere documenti conservati dal primo attacco del 2009 per essere divulgati nel periodo di massimo impatto: il 28 novembre si svolgerà in Sud Africa un meeting di due settimane sul clima organizzato dalle Nazioni Unite.
I responsabili di quel primo attacco rimangono d’altra parte anonimi e la polizia di Norfolk è per questo sotto accusa .
Come nel primo caso gli scienziati chiamati in causa dicono che le loro frasi sono state estratte dal contesto e dimostrerebbero, al massimo, l’umanità degli uomini dietro la ricerca, l’applicazione del metodo scientifico teoria-confutazione e l’informalità che si crea in una comunità omogenea.
Per esempio, Jones spiega che i “modelli sbagliati” della frase citata sono nuovi modelli che tentano di raccogliere quelli esistenti, e che secondo lui non sarebbero sufficientemente complessi. Mentre altri commenti , più che critiche alla ricerca in generale, sarebbero da interpretare come reciproche reprimende, conseguenza naturale di gelosie e e disistime che si vengono a creare in un ambiente chiuso e competitivo.
E ancora, quelle che traspaiono sono frasi che più che altro mostrano semplicemente la necessità di adottare una strategia di comunicazione, che a ben vedere non ha a che fare con la veridicità dei dati ma con il modo in cui li si dovrebbero divulgare: necessità connaturate al fatto che si tratta di una materia fortemente pubblicizzata e su cui sono sviluppate diverse politiche e, naturalmente, in cui si è intrecciato un regime di pressioni .
Claudio Tamburrino