C’era una volta Clubhouse. O meglio, c’è ancora e ci sarà in futuro, ma in una forma differente rispetto a quella che ha visto l’app in grado di calamitare l’interesse tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021. Erano i tempi dell’esplosione dello smart working, della seconda ondata di COVID-19 e delle infinite discussioni sull’efficacia dei primi vaccini, dell’Andrà tutto bene
ripetuto come un mantra ed esposto sui balconi. A mettere il punto alla prima fase della sua storia sono i fondatori della società, con una lettera inviata ai dipendenti che annuncia licenziamenti per la metà della forza lavoro.
Oggi abbiamo annunciato che stiamo ridimensionando la nostra organizzazione di oltre il 50% e, nel processo, salutando molti membri di una squadra talentuosa e appassionata. Siamo profondamente dispiaciuti di farlo e non attueremmo mai questo cambiamento se non fosse assolutamente necessario.
La seconda vita di Clubhouse, ma prima licenziamenti
Il riferimento è a un vero e proprio reset. Si passerà dall’eliminazione di ruolo non più ritenuti essenziali e concentrando le risorse sull’attività di un team più piccolo, focalizzato sul prodotto. Una decisione, stando a quanto reso noto, che non ha a che vedere con una difficoltà economica incombente, ma è dettata dalla volontà di lavorare alla prossima evoluzione della piattaforma.
Tra le prime celebrità che contribuirono all’ascesa e al successo dirompente di Clubhouse ricordiamo Elon Musk e Mark Zuckerberg. Ben presto i colossi del mondo online hanno iniziato a lavorare alle proprie alternative, con l’intento di cavalcare il trend. Twitter ne tentò addirittura l’acquisizione, fallendo, prima di avvertire qualche primo scricchiolio nella tenuta del modello di business.
I co-fondatori Paul Davison e Rohan Seth guardano ora avanti. All’orizzonte c’è una sorta di versione 2.0 della piattaforma. Affermano di avere le idee ben chiare su ciò che accadrà in futuro. Non sono ad ogni modo stati condivisi dettagli in merito.