Col MIT, il chip si assembla da solo

Col MIT, il chip si assembla da solo

Una nuova ricerca statunitense impiega polimeri eterogenei per auto-posizionare le molecole che compongono i circuiti integrati. Promessa una maggiore scalabilità e facile integrazione nei processi industriali
Una nuova ricerca statunitense impiega polimeri eterogenei per auto-posizionare le molecole che compongono i circuiti integrati. Promessa una maggiore scalabilità e facile integrazione nei processi industriali

Se già non bastassero la nanofotonica , il grafene e i nanotubi di carbonio, a contendersi il futuro dei microchip arrivano ora anche i transistor che si auto-assemblano del Massachusetts Institute of Technology . Ricercatori del celebre istituto hanno infatti disvelato il frutto del loro lavoro sui circuiti elettronici composti da polimeri , il cui funzionamento intrinseco (aiutato con il giusto design della “forma” guida) dovrebbe parecchio facilitare il processo di produzione e miniaturizzazione dei chip.

Gli scienziati del MIT hanno impiegato copolimeri , un particolare tipo di polimeri composti da molecole appartenenti a specie differenti e che tendono a “tirare” il polimero in due direzioni diverse . Sfruttando questa caratteristica, i ricercatori hanno fatto sì che le molecole andassero a sistemarsi nelle “fosse” precedentemente incise sul substrato prototipo, dando di fatto vita a un chip funzionale i cui componenti basilari sono in grado di assemblarsi per conto proprio.

A cosa tutto ciò possa servire è presto detto: il tradizionale processo litografico dello stampaggio dei circuiti tende a perdere di affidabilità con l’aumento del tasso di miniaturizzazione (e quindi con la diminuzione delle dimensioni dei transistor), mentre adottando un tipo di produzione polimerica – sostengono dal MIT – il processo produttivo dei microchip ne guadagnerebbe in scalabilità .

A riprova della validità della soluzione proposta dai ricercatori, il MIT non è il solo istituto impegnato a studiare i chip autoassemblanti, anche se il nuovo studio rappresenterebbe il primo caso di impiego di polimeri per lo scopo. Anche Intel e Micron lavorano sull’auto-assemblaggio utilizzando design e materiali differenti.

E come “bonus” su tutti gli altri vantaggi (scalabilità e riduzione dei costi in primis), i copolimeri del MIT potrebbero entrare facilmente nel processo produttivo non solo di microchip ma anche di dispositivi di storage a tecnologia magnetica come gli hard disk.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
17 mar 2010
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