Per tutelare i minori, per dichiarare la propria adesione alla lotta contro la pedopornografia, Comcast ha smesso di fornire accesso a Usenet. Per dibattere sulle gerarchie dei newsgroup, i netizen dovranno rivolgersi a fornitori di servizi diversi dal proprio ISP.
La decisione di Comcast è sofferta: nonostante non abbia mai fatto segreto di voler arginare il traffico dei propri utenti, nonostante abbia svelato il proprio programma per contenere la loro fame di banda, il provider si era dimostrato riluttante a piegarsi alla campagna di moralizzazione della rete, vessillo del procuratore dello stato di New York Andrew Cuomo.
Cuomo, che da tempo investe poteri e energie nell’epurazione di quanto possa mettere a rischio i minori in rete, aveva tentato di investire i provider della responsabilità di vigilare sui contenuti online. I provider, da sempre restii a gestire e interferire su contenuti che scaturiscono dal diritto ad esprimersi degli utenti, non avrebbero potuto rifiutare. Cuomo, dopo aver condotto indagini sotto copertura e dopo aver individuato 88 newsgroup in cui si scambiavano immagini di abusi sui bambini, ne aveva segnalato la presenza ai provider e aveva atteso reazioni che non si sono mai manifestate. Aveva quindi minacciato di accusare gli ISP di perpetrare pratiche commerciali ingannevoli qualora non avessero adempiuto a quanto prevedono i contratti che stipulano con gli utenti. Contratti in cui gli ISP spesso si impegnano a denunciare e a indagare su coloro che immettono in rete materiale pedopornografico.
Così Cuomo aveva convinto Verizon, Time Warner Cable e Sprint, così anche AOL e AT&T avevano capitolato : non avrebbero più offerto ai propri utenti la possibilità di fruire dei newsgroup, avrebbero demandato ad altri la responsabilità di garantire ai netizen l’accesso ad uno strumento di comunicazione considerato infido da Cuomo. Comcast, affaccendata nei mesi scorsi su protocolli diversi da quelli Usenet, aveva scelto di non aderire. Cuomo aveva sfoderato la propria strategia: in una lettera indirizzata all’operatore spiegava che smettendo di fornire accesso a Usenet e vigilando sugli scambi di materiale fra utenti, non si sarebbe leso alcun diritto degli stessi in quanto il materiale pedopornografico non è protetto dal Primo Emendamento. Invitava Comcast a uniformarsi agli altri ISP, intimava al provider di sottoscrivere il codice di condotta a cui molti operatori avevano già aderito: in caso contrario, il procuratore avrebbe imbracciato le armi legali a sua disposizione.
A poco sono valse le rivendicazioni di EFF, secondo cui negare agli utenti l’accesso ai newsgroup attenta ai diritti del cittadino di esprimersi e di informarsi: anche Comcast ora invita i propri utenti a rivolgersi a servizi di terze parti. RCN ha fatto altrettanto senza neppure prendersi la briga di annunciare la decisione ai netizen.
È probabile che gli ISP che si siano accordati per sottostare alle richieste del procuratore Cuomo e per staccare la spina a server costosi confidino nell’indifferenza degli utenti, che sembrano aver scelto altri strumenti per comunicare e interagire. Sono in molti però a minacciare di migrare verso altri provider , a disperare per la sospensione del servizio, a manifestare la propria nostalgia per uno spazio senza filtri e senza censure .
Gaia Bottà