“Se tutte quelle organizzazioni che hanno criticato l’accordo tra Google Book Search e gli editori spendessero lo stesso tempo a fare pressione sul Congresso per leggi migliori su tali tematiche, forse questa diatriba scomparirebbe”. Ad offrire consigli è stato Dan Clancy, engineering director del progetto di scansione e pubblicazione di BigG , che ha recentemente parlato nel contesto di una conferenza al Computer History Museum di Mountain View, California.
Le dichiarazioni di Clancy avevano fin dall’inizio un intento ben preciso: illustrare ai presenti e a tutto il mondo digitale i benefici che verranno da quello che era stato definito a maggio un “ecosistema di libri elettronici”. Un progetto di pubblicazione massiva sul web che porterà, stando alla visione di Google, un numero sempre maggiore di testi ad essere ricercati e venduti online . Ambizioni da grande seller che sono venute fuori dalle parole di Clancy, cercando di spiegare che non bisogna aver timore dell’accordo tra l’azienda di Mountain View e le case editrici.
Lanciato nel 2004 come Google Print, il progetto prevedeva una grande opera di scansione dei testi, utilizzando una tecnologia di riconoscimento a caratteri ottici, per poi indicizzarli in formato digitale attraverso il search engine più cliccato al mondo. Questa Googleteca era stata aspramente criticata appena un anno dopo, a partire da una class action guidata da Authors Guild, associazione statunitense degli autori, convinta che BigG volesse rendere accessibile materiale protetto dal diritto d’autore senza averne l’autorizzazione . L’affronto alla proprietà intellettuale, tuttavia, era stato lavato da entrambe le parti con un accordo extragiudiziale di 125 milioni di dollari.
Il negoziato era stato il frutto di un generale e progressivo ammorbidimento dei toni, lasciando a Google la possibilità di scansionare libri protetti dal copyright, non più in corso di stampa e, soprattutto, privi di un detentore dei diritti rintracciabile per ottenere un’autorizzazione a procedere. Come ha fatto notare Clancy, un modo intelligente per dare a queste opere orfane una visibilità resa impossibile dalle strategie aziendali, non interessate a volumi privi di un’appetibilità commerciale. Una nuova vita con una nuova pelle elettronica che, tuttavia, ha suscitato ancora più di una critica.
A puntare il dito contro l’accordo, Internet Archive , che ha fatto notare prima della conferenza tenuta da Clancy: “Nessuno ha le stesse protezioni legali di cui gode Google”. L’organizzazione no profit per la costruzione di una biblioteca digitale libera ha suggerito alle parti in causa di estendere queste capacità legali a tutti coloro che vorranno digitalizzare le opere orfane. Altrimenti, lasciare i libri senza padre fuori dall’accordo e trovare delle soluzioni legislative, anziché sottoporre un negoziato di natura privata ad una corte federale.
Alla corte, infatti, spetterà il compito di approvare il negoziato, sicuramente entro il mese di ottobre. Lo U.S. Department of Justice sta inoltre conducendo un’inchiesta antitrust sulla stretta di mano tra Google ed editori. Intanto Clancy ha parlato di un progetto decisamente oneroso , a partire da circa 100 milioni di dollari da investire nelle opere di digitalizzazione dei testi. 34 milioni verranno versati per creare un Book Rights Registry che farà da database per le informazioni riguardanti i detentori dei diritti e che prevederà l’esborso di almeno 45 milioni di dollari a loro favore in caso di riproduzione senza autorizzazione.
I piani di BigG sono chiari: sviluppare un algoritmo capace di trovare il prezzo ideale per Google Editions. Clancy ha parlato coi numeri: 50 per cento dei titoli a meno di sei dollari, almeno inizialmente. E, rispondendo a chi ha espresso preoccupazioni su un probabile monopolio, ha dichiarato: “Secondo il patto, i detentori dei diritti hanno la possibilità di scegliere tra l’essere dentro o fuori la nostra indicizzazione: rispetteremo ogni decisione”.
Mauro Vecchio