Continua la serie di approfondimenti sullo sviluppo e il mercato dei videogame di Punto Informatico : raccogliendo il parere di chi è coinvolto quotidianamente, per lavoro o per passione, nel mondo dei videogiochi è possibile forse disegnare un cammino per chi intende intraprendere una carriera. Spazio dunque a GameProg , celebre portale non profit che si propone di fornire materiale, documentazione e supporto in italiano agli aspiranti game developer del nostro Paese. Hanno contribuito a questa intervista Daniele Vergìni, coordinatore del portale, ed i suoi collaboratori Davide Muzzarelli, Gianluca Masina, Emanuele Bertoldi, Domenico Vona e Sebastiano Mandalà.
Punto Informatico: Ci spieghi come funziona il vostro progetto e come la vostra comunità interagisce con la industry ?
GameProg.it: Forse parlare di “industry” in Italia è un po’ azzardato! GPI solitamente dialoga solo con il primo anello della catena di produzione ovvero con gli Sviluppatori (Developers), in parole povere le software house che nella pratica realizzano i videogiochi. L’industry comprenderebbe anche l’anello intermedio degli Editori (Publisher), ovvero le società che finanziano i progetti: ma in Italia, tranne rarissime eccezioni, operano solo società multinazionali estere. C’è poi l’anello finale dei Distributori, come ad esempio Leader o Halifax che si occupano essenzialmente del packaging e della distribuzione ai negozi ed al massimo della localizzazione o del marketing del prodotto.
PI: Chi è il vostro pubblico?
GPI si focalizza principalmente sugli aspiranti game developer che ancora non sono entrati nella industry, il nostro portale nasce infatti da un gruppo di appassionati riuniti nel 1998 per fornire un punto di incontro virtuale del settore game-dev italiano. Offriamo gratuitamente formazione e informazione: oltre ad articoli e notizie, mettiamo a disposizione anche una serie di tutorial (scritti principalmente in italiano) che aiutano le persone interessate a fare in primi passi in questo mestiere che, lo ricordiamo, può avere varie specializzazioni: si va dal programmatore, al grafico, dal “game designer” (che scrive “la storia” e la “meccanica di gioco”), fino al musicista e all’addetto agli effetti sonori, per i quali sono necessarie varie e differenti competenze.
PI: Citando un passo del vostro manifesto : “GPI si pone come punto di riferimento per gli sviluppatori italiano o aspiranti tali, al fine di promuovere l’industria del videogioco italiana, le cui potenzialità non hanno certo nulla da invidiare alle concorrenti straniere”. Potenzialità. Le abbiamo davvero? Dove sono?
GPI: Questo argomento è sempre oggetto di un dibattito infuocato, la situazione italiana non è certo delle migliori ma a nostro parere i margini per crescere ci sono comunque e noi nel nostro piccolo cerchiamo di incentivare questo processo. Di certo l’inventiva e la creatività non mancano a noi italiani e, come hanno dimostrato alcune software house nostrane, non è impossibile entrare nel settore anche livello internazionale: la più famosa software house italiana nel mondo è probabilmente Milestone di Milano, che molti conosceranno per i giochi di corse Screamer e Superbike. Molto famosa anche Artematica di Genova, seguono varie realtà più piccole ma non meno importanti come, per citarne alcune, Idoru, NAPS, PM Studios, Raylight. Le abbiamo raccolte in una lista , in totale sono poco più di una ventina.
PI: Perché se ne parla così poco?
GPI: Speriamo sempre che gli esempi positivi si moltiplichino nei prossimi anni, grazie anche all’intervento dei (pochi) italiani con esperienza che già lavorano nel campo e che hanno dato un contributo verificabile al settore. Non dimentichiamo anche i numerosi “cervelli” fuggiti all’estero, magari in un futuro vorranno tornare in patria e trasmetterci ciò che hanno imparato…
PI: Cosa manca all’Italia per arrivare al livello dei big come USA e Regno Unito?
GPI: Non possiamo nasconderci dietro ad un dito: le mancanze rispetto all’estero sono tantissime e sono veramente presenti a tutti i livelli: governativo, dirigenziale e lavorativo! I problemi che sono sotto gli occhi di tutti e ci distinguono nettamente dalle altre nazioni europee sono, a nostro parere, i seguenti:
– come accade in tanti altri settori italiani, anche nel game-dev manca un’economia stabile e virtuosa, e di conseguenza è difficile trovare imprenditori disposti ad assumersi i rischi d’impresa ed a fare gli investimenti necessari; si nota inoltre una carenza anche nel comparto dirigenziale e questo affossa inesorabilmente l’azienda e tutti quelli che ci lavorano
– manca una percezione seria del settore da parte dell’opinione pubblica, troppo spesso chi crea videogiochi viene associato mentalmente a chi gioca
– non esistono a livello nazionale aiuti specifici per il settore come succede per esempio in Francia o Inghilterra
– è praticamente assente una educazione specifica (approfondiremo questo argomento più avanti) ma soprattutto è carente anche l’educazione generale a partire dalle scuole elementari, come dimostra un recente studio dell’Ocse che ci piazza in fondo alla classifica europea, è quindi difficile colmare questo gap iniziale con i colleghi esteri.
– manca infine anche un pizzico di umiltà. PI: Dal progetto GPI nasce nel 2002 la “Associazione Italiana Sviluppatori di Videogiochi – Game Programming Italia”, il cui primo obiettivo è “sensibilizzare l’opinione pubblica a meglio comprendere le tematiche inerenti la creazione di videogiochi e promuoverle a livello nazionale”. Ci illustri brevemente l’attività dell’Associazione?
GPI: Per prima cosa voglio precisare che la nostra associazione non persegue fini politici o sindacali, quindi non si pone come rappresentante unica degli sviluppatori di videogiochi italiani. Si tratta di una “veste legale” volta ad unire tutti coloro che credono o collaborano al nostro sito ed a realizzare alcuni obbiettivi di interesse comune, fra cui mantenere il sito di GameProg grazie alle donazioni ed al contributo di tutti sia in termini economici che di articoli/tutorial, che di sviluppo vero e proprio delle funzionalità del sito. A questo proposito, vorrei annunciare che stiamo lavorando ad una nuova versione del sito (nome in codice “GPI Revo”), che speriamo di mettere online entro la fine dell’anno e per il quale siamo aperti a qualsiasi forma di collaborazione.
PI: Ci sono altre iniziative in programma?
GPI: Fra i progetti dell’Associazione c’è anche quello di una conferenza italiana interamente dedicata allo sviluppo di videogiochi, purtroppo non abbiamo mai ottenuto le risorse necessarie per organizzare un evento di una certa portata… Chi ci segue da tempo sarà a conoscenza del ciclo di conferenze che realizzammo presso la fiera Webbit negli anni 2002-2003-2004, lo rifaremo sicuramente se ne avremo nuovamente l’opportunità! Fra i nostri progetti sono da segnalare anche il concorso a premi per promuovere i developer italiani tenutosi nel 2003, e l’edizione “ridotta” al game design tenutasi nel 2007.
PI: Dato che GPI si propone di supportare l’atto pratico di realizzazione di videogame, ti propongo ti illustrare qual è, secondo te, il percorso formativo ideale in base alle conoscenze settoriali di un utente.
GPI: Ammetto che ho risposto (o meglio tentato di rispondere) a questa domanda almeno qualche centinaio di volte: purtroppo la risposta non è semplice! Limitandosi al discorso programmazione che, ricordiamo, è solo una delle possibili specializzazioni, e senza entrare troppo nel dettaglio altrimenti non si finirebbe più, per prima cosa faccio presente agli aspiranti game developer che vogliono lavorare da professionisti nel settore che bisogna avere “robuste” conoscenze di base, non soltanto a livello informatico ma anche relativamente a nozioni di matematica e fisica.
PI: E quali sono?
GPI: Le competenze devono spaziare da argomenti “base” come ad esempio lo sviluppo object oriented o la programmazione di rete fino ad argomenti più “particolari” come l’intelligenza artificiale o ottimizzazione del codice (ad esempio assembly, o programmazione degli shader delle scheda grafiche). Il “pezzo di carta” (diplomi/lauree) inoltre è utile anche se non per forza necessario: hanno il sopravvento l’esperienza, la capacità pratica di realizzazione, e la rapidità di apprendimento; la maggioranza delle software house in cerca di personale esige visionare, oltre al CV, anche una demo realizzata in autonomia dal candidato.
PI: E per chi comincia adesso?
GPI: A chi parte da zero consigliamo sempre di affinare per prima cosa almeno un linguaggio di programmazione (preferibilmente object oriented), il C++ è senza dubbio il “linguaggio principe” dello sviluppo di videogiochi, ma anche chi conosce bene Java, C# o anche Delphi ha solide basi da cui partire. Tutti gli altri linguaggi sono abbastanza sconsigliati, soprattutto Visual Basic. Il passo successivo è quello di crearsi una piccola esperienza da autodidatta nel game dev, e in questo possono venire in aiuto i numerosi tutorial presenti su GPI ma anche su molti altri siti in inglese (a proposito, masticare la lingua inglese è un’altra delle caratteristiche indispensabili!).
PI: Cos’altro?
GPI: Dopodiché non manca altro che realizzare una piccola demo, magari “alleandosi” con un amico grafico: non importa realizzare qualcosa di commercializzabile, ma fare anche solo qualcosa che gira rappresenterà una dimostrazione del vostro know-how ed un preziosissimo biglietto da visita per i vostri futuri colloqui!
PI: Meglio tentare la sorte in Italia o altrove?
Noi incoraggiamo sempre i developer a rimanere in Italia, ma ricordiamo a chi fosse intenzionato a tentare la fortuna all’estero che non si tratta di una impresa impossibile: basta mandare il curriculum e molto spesso lo svolgimento del primo colloquio verrà fatto telefonicamente, anche per testare la conoscenza della lingua locale da parte del candidato che risiede in un altro paese. Quindi “tentare la fortuna” non costa molto e l’esperienza estera può rappresentare senza dubbio un buon “bagaglio culturale”. PI: Secondo te ci sono possibilità per i piccoli gruppi di appassionati che cercano di fare della loro passione un lavoro?
GPI: Il fenomeno dei “garage games” (oggigiorno identificato col termine “indie”: che sta per “sviluppo di videogiochi indipendente”) che molti erroneamente ritengono ridimensionato rispetto al passato, in realtà sta vivendo una “seconda giovinezza”. Secondo uno studio della IGDA (International Game Developers Association) il mercato dei “casual games”, dei giochi freeware e perfino dei “browser game” sta crescendo notevolmente e costituisce un’ottima (e forse l’unica) “palestra” per i talenti emergenti, l’investimento più semplice che un gruppo di appassionati può fare in assenza di finanziatori, un’ottima soluzione per tentare di entrare nel mercato come team indipendente invece che come singolo con un investimento di piccola portata. Naturalmente questo non significa che iniziare un’attività di questo tipo sia facile! GPI supporta i piccoli gruppi con gli annunci di lavoro a pubblicazione gratuita, il forum e la “vetrina”.
PI: In Italia ci sono realtà di questo tipo?
GPI: Un esempio di “team indie” è la sarda Polgames , che è la prova vivente di come sia possibile ottenere un risultato sufficiente ad autosostenersi senza necessariamente produrre titoli di qualità eccelsa.
PI: Ultimamente il linguaggio ad oggetti Ruby sta attraversando un periodo di forte sviluppo, coinvolgendo tutti i settori di sviluppo software non ultimo quello dei videogame. Ti sentiresti di consigliarlo a chi vuole programmare videogiochi?
GPI: Ruby è sicuramente molto conosciuto nella programmazione web grazie a Ruby On Rails, ma sono ancora timide le iniziative di programmazione di videogiochi con questo linguaggio per via della giovinezza dello stesso e per le scarse prestazioni offerte, che miglioreranno sicuramente in futuro. Ad oggi ci sentiamo di consigliarlo al massimo a fine di prototipazione.
PI: Ci sono altri linguaggi consigliati?
GPI: Spesso si associa il videogioco esclusivamente al C++ per via del motore grafico ma in realtà i giochi hanno diverse esigenze oltre alla programmazione grafica, dove linguaggi meno “nobili” possono trovare un giusto impiego, e stiamo parlando di prototipi, server per il gaming online, script specifici per l’IA ecc. Alcuni linguaggi di scripting poi sono adatti anche ad essere inseriti direttamente all’interno del videogioco (al di sopra del motore grafico vero e proprio), come ad esempio il LUA, data la sua velocità di esecuzione, o Python per la possibilità di scrivere codice stackless e per la facile integrazione con altri linguaggi. In ambito scripting segnaliamo anche Actionscript 3 ed il nuovo Flash 10 che hanno caratteristiche di eccellenza, come un supporto nativo alle librerie 3D accelerate e molto altro ancora.
PI: Parliamo di API. Quali sono le differenze fra DirectX e OpenGL e secondo te quali vantaggi si possono avere dall’utilizzo dell’uno piuttosto che dell’altro?
GPI: Fino a qualche anno fa era in atto una vera e propria battaglia (a suon di frame per secondo) fra queste due API, tanto che molti motori 3D avevano una versione per entrambe. Ancor prima esistevano anche le “Glide”, “decedute” assieme alla 3DFX, e oggi le OpenGL sembrano aver imboccato la stessa strada o quantomeno ad essere relegate alle workstation (ambiente dal quale provenivano). Quindi in questo ambito Microsoft può cantare sicuramente vittoria, ma sicuramente per merito poiché le DirectX col tempo hanno raggiunto sia le performance che la facilità di utilizzo che erano inizialmente elemento di distinzione delle OpenGL.
PI: Ci sono motori grafici più interessanti e ci sono motori grafici da evitare?
GPI: Esistono numerosi motori grafici per chi non è intenzionato a scriverne uno da zero, sia free che commerciali (da economici a super-costosi). Esistono motori grafici più completi di altri, ma che magari offrono una interfaccia più complessa (il che implica una curva di apprendimento più ripida) o altri più semplice ma meno performanti (perché non ottimizzati per ogni singolo aspetto).
PI: Ma che cos’è davvero un motore grafico?
GPI: Per definire bene la terminologia ricordiamo che fino a poco tempo fa esistevano essenzialmente solo “motori di rendering” che si occupano della sola resa grafica, mentre ora si stanno imponendo anche “motori fisici”, come il famoso Havok , che gestiscono l’interazione degli oggetti in maniera realistica. In futuro si pensa che si andrà verso una sempre maggiore “componentizzazione” del codice dei videogiochi: potrebbero essere creati e commercializzati anche motori specifici per l’intelligenza artificiale o altri aspetti. Per concludere ricordiamo che esisto anche “motori di gioco” completi, che comprendono praticamente tutte le componenti base e sono particolarmente indicati per chi vuole programmare il meno possibile, limitandosi (si fa per dire) alla realizzazione di grafica e livelli di gioco
PI: Un argomento che abbiamo già affrontato più volte nel corso degli altri approfondimenti tematici è la formazione didattica. Ognuno ha dato il suo punto di vista. Secondo te, ci sono università che formano Game Designer e Game Developer, in Italia?
GPI: Purtroppo la risposta è no! Non a livello universitario! L’unico corso ufficiale era quello del Prof. Marini presso l’università di Milano, di cui abbiamo appreso con dispiacere la chiusura proprio da PI. Esiste qualche corso privato: a Roma ci sono il master in VideoGame Design dello IED (Istituto Europeo di Design), i corsi di programmazione, grafica e design di AIV (Accademia Italiana Videogiochi), i corsi di programmazione di Initium Studios in collaborazione con IASI-CNR. In tutti i casi si tratta di corsi intensivi dai costi però abbastanza elevati, di cui abbiamo parlato su GPI in alcuni articoli tematici. Sempre in ambito di Game Design, a Milano segnaliamo la prima edizione del master presso la Scuola di Comunicazione IULM in collaborazione con AESVI (Associazione Editori Software Videoludico Italiana) la cui partenza è prevista per ottobre 2008.
PI: Il settore dei videogame è in continua crescita, tanto da mettere in qualche caso in soggezione addirittura il cinema di Hollywood. Come immagini il futuro dei videogame e quali sono le prospettive per il nostro Paese?
GPI: “Soggezione” è ormai probabilmente un termine inadatto: il giro d’affari mondiale legato ai videogiochi si avvia ad essere il primo per importanza nel campo dell’entertainment e anche in Italia non siamo messi male con un giro d’affari di circa 1 miliardo di euro nel 2007 (contro i 25-30 miliardi a livello internazionale). Purtroppo però in questo caso non è merito delle produzioni italiane, che rappresentano una percentuale molto piccola dei titoli distribuiti nel nostro paese: sul nostro portale abbiamo anche una piccola sezione dedicata alla problematiche economiche/marketing un argomento che andrebbe sicuramente trattato con ulteriore dettaglio se vogliamo portarci al livello delle altre nazioni europee.
Nelle prossime settimane Punto Informatico continuerà ad approfondire le tematiche del settore videoludico dando la parola direttamente a chi ne fa parte, per lavoro o per passione, qui in Italia. Chiunque voglia dare il proprio contributo con idee, contatti, informazioni, può farlo scrivendo alla redazione
a cura di Enrico “Fr4nk” Giancipoli
– Il Game Design negli USA è cosa seria. Ma in Italia?
– Videogiochi, come ci si lavora in Italia?