Update in calce – Roma – Veri e propri colpi di scena non se ne sono visti : il procedimento giudiziario che vede contrapposti la madre di quattro figli Jammie Thomas-Rasset sul banco della difesa, e l’etichetta musicale Capitol Records su quello dell’accusa, si sta svolgendo tutto sommato come era prevedibile. Da una parte l’avvocato della mamma che tenta in ogni modo di suscitare nei giurati il ragionevole dubbio che scagioni la sua assistita, dall’altra una sequenza di periti e addetti ai lavori che tentano di collegare il computer della donna, il suo account utente, la sua installazione di Kazaa e la sua connessione al download e alla condivisione dei 24 brani musicali incriminati.
Come detto, non ci sono state sorprese particolari nel corso delle varie testimonianze, che si sono concluse in appena tre giorni di dibattimento: i vari periti chiamati dall’accusa hanno confermato che le due dozzine di brani oggetto delle indagini sono effettivamente parte del catalogo dell’attore, così come è stato ribadito che secondo i dati raccolti durante le indagini private condotte da MediaSentry era stato possibile collegare l’IP dell’utenza Thomas alle operazioni svolte su Kazaa e ai migliaia di brani scaricati.
Qualche sorriso l’ha strappato Ryyan Chang Maki, dipendente Geek Squad (il servizio di assistenza della catena Best Buy), arrivato in tribunale e salito al banco dei testimoni con la sua divisa completa di gilet: una volta iniziato l’interrogatorio, in ogni caso, Maki ha ribadito quello che già si sapeva e cioè che l’hard disk esaminato dai periti di parte durante l’istruttoria non era l’hard disk che conteneva i brani oggetto del contendere . Appena due settimane dopo che mamma Jammie aveva ricevuto la prima lettera da parte dello studio legale che rappresentava le major, il suo computer era stato portato in assistenza con il disco irrimediabilmente danneggiato, e dunque sostituito perché in garanzia.
Ed è proprio su questo punto che si sono concentrati accusa e difesa: i primi sostenendo che si tratta della prova che Thomas aveva qualcosa da nascondere , visto che durante la fase delle indagini e durante il primo processo aveva dichiarato anche sotto giuramento di non aver sostituito il disco nel 2005 ma l’anno precedente. I secondi, per chiarire l’assoluta buona fede della donna: che avrebbe ricevuto una seconda missiva da parte dello studio legale che questa volta le chiedeva 5mila dollari per chiudere la faccenda, che avrebbe chiamato il numero indicato per avere maggiori informazioni, e che non avrebbe trovato Kazaa installato sul proprio disco (cambiato con uno nuovo) proprio perché non interessata allo scambio di quei brani musicali.
Qualche incertezza e qualche inciampo entrambi i collegi legali l’hanno incontrato. L’accusa ha dovuto fare un mezzo passo indietro quando è risultato chiaro, durante uno degli interrogatori dei suoi periti, che non tutte le informazioni erano state condivise con la controparte : la legge statunitense impone nelle cause civili che accusa e difesa si forniscano a vicenda tutte le prove di cui dispongono prima dell’inizio del dibattimento. Qualcosa era sfuggito , causando una sfuriata del giudice e un paio di annotazioni di cui la giuria dovrà tener conto. Inoltre, uno degli avvocati dell’accusa è stato pescato con un Blackberry in aula, violando una delle regole stabilite dalla Corte all’inizio del processo.
Dalla parte della difesa, non ha sortito l’effetto sperato la presentazione di una lista degli acquisti fatti da Jammie presso il locale Best Buy : l’idea dell’avvocato Camara era di mostrare come fosse una regolare acquirente di musica, tentando cioè di rendere chiaro che chi condivide gratis non si capisce perché dovrebbe pagare per la stessa merce. Peccato che, come rilevato dagli spettatori del processo, in quella lista ci fossero videogame, DVD e tantissimi soft drink: di CD musicali ce n’era solo uno. E neppure la deposizione di mamma Jammie è stata proprio un successo travolgente.
Incalzata dall’accusa, la signora Thomas ha retto abbastanza bene il fuoco di fila delle domande: ha ammesso di aver dichiarato sotto giuramento dei fatti che non hanno trovato riscontro, ma ha ribadito di essersi solo confusa. Alla fine, comunque, non ha retto lo stress (o è stata abile nel farlo sembrare): è scoppiata in lacrime, ha lamentato la distruzione della sua vita a causa di questo procedimento al termine del quale potrebbe dover pagare ammende fino a 3,5 milioni di dollari, ha ribadito di non essere colpevole e di non avere idea di come eventualmente quella musica sia potuta finire sul suo computer. Poi, ha finito per accusare i periti dell’accusa di aver mentito per accusarla: a questo punto, tra le obiezioni degli avvocati, il giudice ha messo fine alla sua deposizione.
Difficile stabilire come andranno le cose. I precedenti del primo processo non giovano alle speranze di mamma Jammie, ma la scena madre davanti ai giurati potrebbe aver generato un minimo di empatia in chi sarà chiamato a giudicarla. In soli tre giorni l’intero dibattimento si è avviato alla conclusione. Oggi sarà giorno di arringhe , poi la giuria si ritirerà per elaborare il verdetto: l’ultima volta era bastata qualche ora a condannare Thomas a risarcire 222mila dollari , la speranza della donna è che questa volta le stesse poche ore bastino a mandarla a casa senza più pensieri.
UPDATE – Jammie Thomas-Rasset è stata condannata per violazione volontaria del diritto d’autore. Il risarcimento per l’accusa sfiora i due milioni di dollari.