EBay non è responsabile della merce che passa per la propria piattaforma: non è tenuta a verificare che si tratti di prodotti contraffatti, non spetta all’azienda tutelare gli interessi dei grandi marchi. Perlomeno di quello di Tiffany & CO.
A deciderlo, il giudice Richard Sullivan della corte federale di Manhattan. La diatriba legale che ha contrapposto eBay al colosso del gioiello si trascina dal 2004: Tiffany scaricava su eBay l’onere di vigilare sui falsi, la accusava di agevolare il mercato delle imitazioni consentendo che vi si scambiassero merci contraffatte per il 73 per cento del totale e distribuendo pubblicità ingannevoli coinvolgendo, senza aver fatto richiesta, il marchio di Tiffany. EBay rigettava l’accusa di sfruttamento indebito del marchio e prometteva collaborazione e annullamento delle aste a patto che fossero i produttori degli originali a segnalare la presenza dei falsi . Tiffany ha combattuto un’aspra battaglia, ha richiesto che la piattaforma di aste modificasse le proprie regole interne, che iniziasse ad impersonare il ruolo di poliziotto abbandonando la neutralità del semplice intermediario : in caso contrario, la piattaforma sarebbe stata ritenuta responsabile della violazione del marchio registrato che identifica la gioielleria, in virtù delle percentuali che guadagna sugli affari che vi si concludono.
Ma il giudice Sullivan ha decretato che la richiesta e l’accusa del gioielliere non sono legittime : la pubblicità di eBay non è ingannevole ma semplice fair use e “Tiffany deve caricarsi dell’onere di proteggere il proprio marchio” inoltrando le segnalazioni a cui eBay già provvede a dare seguito rimuovendo dal proprio servizio i falsi. Da eBay hanno dichiarato che lo scorso anno si sono stati sospesi 50mila venditori accusati di contraffazione e banditi dal servizio 40mila venditori recidivi: Rob Chesnut, a capo della divisione legale di eBay, ha assicurato che l’azienda “combatte aggressivamente la contraffazione non solo per assolvere alle proprie limitate responsabilità, ma anche perché la contraffazione ha effetti negativi sulla community degli utenti”.
Concordano da Tiffany negli intenti, ma divergono riguardo alle responsabilità: “Il primo intento della legge che regola il trademark è quello di proteggere il consumatore e il secondo è quello di proteggere il detentore del brand, e non sono sicuro – spiega un legale dello studio che ha assistito il gioielliere – che questi propositi e questi obblighi sanciti dalla legge abbiano trovato pieno accoglimento”. Con ogni probabilità, la gioielleria ricorrerà in appello per ribaltare la sentenza del giudice Sullivan e portarla sui binari di quelle emesse in materia dai giudici europei.
I tribunali al di qua dell’Atlantico si sono infatti dimostrati molto più severi nei confronti della piattaforma: è recente la decisione del giudice parigino in materia di responsabilità sulle borsette contraffatte. È ancor più recente il macigno griffato Louis Vuitton e Christian Dior che si è abbattuto sull’azienda californiana: eBay è stata condannata a pagare 40 milioni di euro per riparare alla propria “negligenza” e alle “vendite illecite” che si sono intrattenute mediante i servizi offerti. La decisione del giudice ha altresì obbligato eBay a impedire che i francesi potessero trafficare in prodotti di profumeria marchiati: eBay si era scagliata contro questa decisione che avrebbe potuto pesare sulla libertà di scelta dei consumatori e sulla possibilità di approfittare del legittimo mercato dell’usato. Nonostante le argomentazioni di eBay la corte d’appello ha confermato la decisione. C’è chi paventa che eBay si debba preparare a biforcare il proprio modello di business.
Gaia Bottà
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