C’è sempre qualcosa di opaco nella gestione di questo paese. Ed è sconsolante osservare che il tempo passa, i governi cambiano ma le ambiguità ed i silenzi restano sempre gli stessi.
Per quale ragione un governo con grandi e seri problemi di bilancio come il nostro dovrebbe darsi la pena di aggiungere alla Legge Finanziaria per il prossimo anno, una legge carica di tensioni ed incertezze anche sulla sua stessa approvazione, una minuscola variazione alla legge del 1941 sul diritto d’autore? Dove starebbe la necessità impellente di questa piccola aggiunta fuori tema alle “Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”?
Come forse avrete appreso navigando in rete in questi giorni, all’interno del progetto per la Legge Finanziaria 2007 l’articolo 32, improvvisamente, come la foto di una donna nuda ad un seminario sulla ermeneutica kantiana, recita:
All’articolo 65 della legge 22 aprile 1941 n.633, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi fra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni delle categorie interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29”
In mancanza di qualsiasi commento ufficiale da parte del legislatore, le interpretazioni giuridiche più o meno dietrologiche del nuovo comma si sono sprecate. C’è chi dice che il testo miri a far si che gli editori possano monetizzare le rassegne stampa (è questa, per esempio, l’interpretazione di Peacelink che ha immediatamente attivato una campagna online al riguardo), chi sospetta si tratti di un articoletto messo lì apposta a limitare l’informazione amatoriale in rete, chi invece, sollevando le spalle, dice che nulla è cambiato e che tutto resta com’era.
Io non sono un giurista e non ho pareri tecnici da portare ma una cosa mi pare di poterla dire: quando si inserisce una variazione di legge volutamente ambigua in un contesto di tutt’altra natura ci sono sufficienti ragioni per pensarne tutto il male possibile, anche ricordando analoghi casi del passato recente di simile “casuale” ambiguità.
Mentre attendiamo che qualche rappresentante del governo ci illumini sul significato di quel “con qualsiasi mezzo” , sulla incongruenza fra questo nuovo comma e quello precedente della legge originaria (nel quale si sancisce la liceità del diritto alla “citazione gratuita”) e sulla definizione di “giornale” e “rivista” (i siti web sono giornali? E i blog assomigliano per caso alle riviste? E se lo sono per il legislatore, lo saranno domani anche per il giudice che si troverà a dover interpretare una norma così mal scritta?) ci tornano in mente le vecchie polemiche e le magre figure che i nostri politici rimediarono ai tempi della ultima variazione della legge sul diritto d’autore.
Prima di rammentarvele sottolineando le curiose analogie con la situazione attuale vorrei però ricordare cosa recita il programma dell’Unione al proposito:
“Ribadiremo la natura aperta di Internet, garantendo la libertà di accesso e di espressione, evitando forme indiscriminate di controllo. Riteniamo infatti prioritario promuovere la capacità di utilizzare gli strumenti in rete: tale capacità è oggi parte integrante della cittadinanza”.
Cito questo passo per una ragione: nelle passate legislature le (sciagurate) variazioni alle norme sul diritto d’autore sono state prese dal Parlamento a larghissima maggioranza, con una sorta di diffusa condivisione trasversale della responsabilità politica, equamente divisa fra destra e sinistra (con l’eccezione dei Verdi di allora). Nel caso in questione invece la modifica di legge è un provvedimento del Governo Prodi che deve ancora essere discusso in Parlamento, un comma pensato ed inserito dagli stessi signori che hanno sottoscritto il paragrafo di programma elettorale che ho citato qui sopra. Per cui se domani dovesse prevalere una interpretazione “restrittiva” del comma (per esempio che eventuali citazioni anche parziali sul web da prodotti editoriali debbano essere pagate da chiunque le utilizzi) lo strabismo del legislatore e la responsabilità di una sola parte del Parlamento dovrà risultare chiara a tutti. Ove le cose non stiano in questi termini noi da queste parti (e molte persone su Internet in questi giorni) ci attendiamo che la “ratio” di una simile variazione di legge venga spiegata in maniera anche solo moderatamente convincente.
Dicevo che qualche anno fa accadde qualcosa di molto simile. Il Parlamento di allora con la scusa (o nell’intento) di adeguare il finanziamento pubblico anche alle imprese editoriali approdate sul web, estese in maniera sospetta e mai definitivamente chiarita la definizione di “prodotto editoriale”. Per mesi nella Internet italiana una legge dello Stato ci costrinse a porci domande idiote del tipo: “Ma ora, per il mio sito web nel quale metto le foto del mio cane Fuffi sarò obbligato ad assumere un direttore responsabile?”. Ci facemmo ridere dietro allora (non noi, ma i nostri politici che dimostrarono una volta di più la loro poca comprensione della rete ed anche una certa piatta accondiscendenza verso le assurde pretese di alcuni soggetti forti come gli editori ed i giornalisti) come ci faremo ridere dietro oggi, perché il risultato finale di simili papocchi, la natura olistica del pensiero del legislatore per cui un aggettivo aggiunto qui sposta una montagna a Singapore senza che lui nemmeno se ne accorga, non tarderà a mostrare i suoi effetti.
Aspettiamo insomma rassicurazioni da chi di dovere (alcuni giuristi in rete suggeriscono che l’estensore del provvedimento sarebbe il sottosegretario Ricardo Franco Levi, giornalista, ex portavoce di Romano Prodi) per lo meno sul fatto che simili infinitesimali aggiunte non ostacolino la libera circolazione della conoscenza in rete, che non contrappongano per l’ennesima volta vecchi sistemi di potere ai nuovi ambienti della libera espressione dei cittadini, che non rendano l’Italia un Paese meno aperto di quanto già non sia. Insomma l’esatto contrario di quanto l’Unione ha scritto nel suo programma elettorale.
Gli editoriali di M.M. sono pubblicati a questo indirizzo