Come alcuni di voi sapranno io ho un vecchio blog personale nel quale da molti anni appunto un po’ di tutto, dalle foto della pagella di mia figlia vomitata dal gatto a pensieri sparsi su questioni che mi interessano o mi fanno arrabbiare. Così venerdì scorso sono stato molto indeciso se chiuderlo nelle 24 ore di sciopero dei giornalisti contro la cosiddetta legge Bavaglio o se continuare ad aggiornarlo regolarmente.
Sembra una questione di scarsa importanza (per voi lettori, dico) ed effettivamente lo è, ma mi è utile per proporvi un tema che sta assumendo da qualche tempo a questa parte sempre maggior centralità.
Non ci sono dubbi che il mio blog, come la stragrande maggioranza dei blog non assomiglia in nessuna maniera ad un giornale. Nemmeno il fatto che io scriva da anni sulla carta stampata e sul web trasforma ogni mia parola in argomento dotato di una qualche dignità informativa. Inoltre non sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti e non ho mai avuto la minima intenzione di farlo. Tutto questo fa di me un normalissimo cittadino che scrive delle cose che lo interessano in assoluta libertà su Internet. In Italia fra blog e social network siamo forse una decina di milioni.
E allora perché mai chiudere il proprio piccolo blog, come hanno fatto in molti venerdì scorso, al traino di una ampia protesta che ha, almeno apparentemente, i toni della rivendicazione professionale? Intanto perché – lo diciamo sempre – abitiamo un mondo sempre più collegato. L’interesse dei cittadini ad essere informati, che il decreto sulle intercettazioni si propone di limitare in nome di una maggior privacy, genera conseguenze negative sulla intera comunità e per tale ragione, secondo me, andrebbe osteggiato da tutti. Esattamente come tutti dovrebbero difendere la privacy che, curiosamente, viene oggi tenuta in grande conto quando si parla di intercettazioni dal medesimo governo che in questi anni ha smantellato come ha potuto ogni protezione per i suoi cittadini da altre fome di violazione della privacy come ad esempio le invasioni pubblicitarie del telemarketing. È curioso se ci pensate: limitiamo le intercettazioni dei magistrati che indagano sui reati, limitiamo il diritto di cronaca dei giornalisti in nome della privacy degli stessi cittadini i quali però possono essere disturbati a qualsiasi ora per via telefonica da piazzisti di beni e servizi.
Abitare un mondo collegato significa però anche altro. Per esempio comprendere che l’elaborazione della notizia è oggi una pratica che è emersa dagli ambiti specialistici e professionali ed interessa attivamente l’intera comunità delle persone. Il processo di generazione dell’opinione è ormai un evento fortemente pubblico che travalica sia gli strumenti di diffusione delle informazioni (tipicamente la stampa, i telegiornali, le radio ed i siti web editoriali) che il successivo commento editoriale da parte degli addetti ai lavori. Oggi le possibilità che l’opinione di questi milioni di cittadini collegati si generi a margine di un editoriale di Eugenio Scalfari o di Vittorio Feltri sono molto minori rispetto alle centinaia di diversi stimoli che li raggiungono dalla rete ogni minuto. Le opinioni seguono la dinamica del passaparola, sono spesso correlate da arricchimenti mediatici (video su YouTube, piccoli spezzoni di TG o interviste), sovente rimandano ad una memoria digitale di eventi remoti ma rapidamente rintracciabili: in altre parole più che ritmate dai tempi dei TG, sono continuamente rappresentate nell’incessante aggiornamento del newsfeed su Facebook o dal continuo mutare delle homepage dei siti web informativi. In un continuo rimando fra fonti commenti e spunti di discussione che hanno rivoluzionato completamente l’ecosistema informativo.
Se questo è il contesto è evidente come le aspirazioni censorie del decreto del Governo sulle intercettazioni siano non solo discutibili nella sostanza ma anche del tutto antistoriche e, vorrei dire, perfino inutili, a causa delle mille possibilità di aggiramento offerte dalla tecnologia. Pubblicare le indiscrezioni sull’ex Ministro Scajola sulle pagine di un anonimo sito web straniero (e come tale al di fuori della giurisdizione del decreto) avrà alla fine effetti simili a quelli della pubblicazione sul Corriere della Sera o su Repubblica.
Ma se è così perché mai allora chiudere il proprio blog personale per 24 ore? Per umana solidarietà con il prezioso lavoro dei giornalisti certo, ma anche per riconoscere il diritto di cittadinanza di ciascuno di noi dentro il processo informativo che ormai ci coinvolge tutti, dai giornalisti ai lettori.
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