Roma – Qualche sera fa ero a Milano ad un convegno nel quale si discuteva di informazione e blog. Una buona scusa per provare a dare una occhiata non tanto e non solo alle tematiche in campo quanto all’approccio alle stesse da parte di persone diversissime. Era da un certo punto di vista come essere all’interno di un micro ambiente nel quale per un momento si ritrovavano spalla a spalla persone che normalmente non hanno punti di contatto anche se si citano vicendevolmente spesso l’un l’altra. La prima cosa che mi è parsa è che la tecnologia è ancora fuori dalle nostre menti. Qualcuno dirà che è una fortuna, in ogni caso l’evento di cui parlo era forse il primo in Italia ad essere cablato in wi-fi. Chiunque poteva arrivare, trovare un posto a sedere (se lo trovava), aprire il proprio laptop e collegarsi a Internet. Eppure la stragrande maggioranza dei giornalisti presenti li si poteva riconoscere perchè avevano in mano penna e taccuino. Tutto molto romantico in effetti ma anche molto antico.
Pensare ad una ipotetica conferenza del futuro nella quale ognuno di noi invece che guardare e ascoltare chi sta parlando in quel momento se ne stia con il capo reclinato ad osservare lo schermo del proprio computer ha un che di insopportabile. Nello stesso tempo le possibilità di integrazione che un accesso a Internet durante lo svolgimento di un evento del genere consentono, superano le possibilità offerte dalla nostra fantasia. Si va dal possibile diversivo di farsi gli affari propri mentre il relatore più noioso illustra i propri punti di vista fino alla integrazione via web degli argomenti di cui si sta discutendo in quel momento. Molte porte che si aprono e nessun obbligo a varcarle.
Così mi veniva in mente che uno dei grossi guai del nostro paese resta quello legato all’estetica della tecnologia. Basta andarsene in giro osservando le persone per accorgersene. Le finalità di facciata degli strumenti tecnologici che utilizziamo sono spesso predominanti rispetto ai contenuti di innovazione e servizio che i gadget della modernità portano con sè. Sarebbe importante non farsi ingannare, avere la capacità di distinguere non tanto l’utilità spicciola dell’oggetto tecnologico (che è un dato del tutto variabile e individuale) quanto l’utilizzo furbo dell’informazione per orientare le nostre scelte di compratori e utenti.
L’altra sera a Milano accanto ai taccuini degli uomini della stampa era un tripudio di oggetti tecnologici di ogni tipo. Telecamere grandi come cassette della frutta (quelle delle TV) e videocamere personali che stanno racchiuse in un pugno a riprendere l’evento, smartphone dagli schermi colorati che fanno di tutto, compreso gestire software di Instant messaging, semplici cellulari ma di dimensioni lillipuzziane, fotocamere digitali di ogni foggia e colore.
Io non impazzisco per un simile concentrato di possibilità di racconto offerte dalla tecnologia. Ne vedo ben chiari gli aspetti positivi ( il convegno in questione è oggi abbondantemente consultabile in rete in tutte le forme possibili e immaginabili) ma temo le derive di obbligatorietà che tale potenza di fuoco porta con sè. Si tratta del resto di una obbligatorietà che è in larga misura a noi imposta dall’abitudine alla tecnologia. Tuttavia cio’ sembra accadere e svilupparsi lungo direttrici che troppo spesso non siamo noi a scegliere.
Per fare un esempio: mia figlia frequenta una classe di 2° media nella quale su una ventina di alunni solo due non posseggono un telefono cellulare. Sfido chiunque a dimostrarmi (nel qual cosa cambierò idea e glielo comprero’ anch’io) non tanto l’economicità di starsene a 12 anni tutto il giorno a spedirsi sms da un paio di righe quanto il contributo che tale pratica dà alle possibilità di comunicazione di un adolescente. Specie quando questo adolescente ha la possibiltà di utilizzare altri strumenti meno costosi e più completi come la posta elettronica e i sistemi di instant messaging. Si tratta in realtà – ed è una scommessa per ciascuno di noi – di scoprire la tecnologia nei suoi pregi e nei suoi difetti, liberandosi il più possibile della informazione interessata delle grandi società delle telecomunicazioni che ne orientano come possono il consumo.
Riuscendoci. Solo così si spiegano i 752 milioni di euro che sono stati spesi in Italia per l’invio di sms nel 2002, il successo prossimo venturo degli MMS legato ad una martellante campagna pubblicitaria e tutti i traffici interessati (e parzialmente falliti) tentati intorno alla telefonia di terza generazione. Così si spiega anche la tendenza americana di segno opposto, figlia di un mercato molto più aperto del nostro (secondo Forrester in USA nell’ultimo anno l’utilizzo dei software di messaging è aumentato del 50%) a orientarsi verso strumenti di comunicazione differenti più potenti e certamente più economici, o alcuni recenti dati di Pew Research che indicano come il 77% degli americani abbia cercato informazioni sulla guerra in Iraq prima su Internet che su qualsiasi altro media.
Il giornalista col taccuino in una sala completamente cablata in wi-fi è una immagine significativa di un ritardo certamente culturale così come anche l’eccesso di tecnologia inutile, ostentata agli altri e utilizzata per scopi dubbi, lo è. Le colpe di questa ristrettezza di orizzonti sono certamente in parte nostre, sedimentate in una cultura impermeabile alla innovazione, ma sono anche figlie di altri due fattori che forse fuori dal nostro paese incidono meno pesantemente.
Il primo è una piattezza assoluta dei nostri amministratori nei confronti delle nuove tecnologie che vengono poco o nulla considerate, incentivate solo occasionalmente e con modalità sempre e comunque utili alle grandi società delle comunicazioni.
Il secondo fattore è figlio di questo controllo invertito (sono i grandi soggetti delle comunicazioni che controllano le scelte politiche in materia e non viceversa come dovrebbe essere) e vede una ricerca continua del massimo profitto in barba ad ogni concetto di rapporto costo beneficio. Del quale il consumatore, stordito da continue campagne di stampa e televisiva che raccontano l’assoluta urgenza di mandare una propria foto a 10 metri di distanza ogni 5 minuti, sembra non volersi più occupare.
Mi colpisce a tal proposito che si possano proporre servizi il cui costo è totalmente al di fuori di ogni logica. Un esempio è il servizio di news su SMS che Repubblica ha iniziato ad offrire in collaborazione con Sonera. Quattro messaggi al giorno sul proprio cellulare con le principali news della giornata costano esattamente quanto un abbonamento mensile adsl. Ed io non so se sorprendermi perché la sua tariffa è stellare o invece perché i suoi strateghi possono ritenere che la piazza, cioè noi, siamo pronti a recepirla.