Esistono talvolta piccole casualità illuminanti. Nell’ultimo aggiornamento di Punto Informatico di venerdì scorso sono finiti uno all’altro accanto due articoli interessanti. Il primo quello delle proteste della Associazione Italiani Editori su Google Books, l’altro l’ editoriale di Marco Calamari sulla proprietà intellettuale. Nel primo pezzo si aggiunge il nome di AIE alla lista ormai assai corposa dei grandi critici del tentativo di Google di digitalizzare e rendere disponibili tutti i libri del mondo, nel secondo si disserta con acume della carestia artificialmente indotta dai soggetti più vari per rendere “profittevole” la vendita dei prodotti culturali.
Ci sono, come è noto, molte perplessità sulla essenza stessa di Google e sulla sua ormai assoluta centralità nel panorama Internet mondiale. La voce di quanti allertano sui rischi di uno strapotere targato Mountain View, che possiede ormai rendite di posizione tali da minacciare il mercato della pubblicità mondiale, quello del software, così come la privacy di tutti i cittadini, si alza ogni giorno con maggior vigore un po’ in tutto il mondo e spesso le preoccupazioni espresse sono fondate e condivisibili.
Premesso questo, l’assalto a Google Books ed agli accordi che Google sta mettendo in piedi con le maggiori istituzioni culturali mondiali per la digitalizzazione delle opere librarie ha in sé qualcosa di indecoroso, specie se applicato alla realtà dei fatti italiana.
Sul banco degli imputati è salito recentemente l’accordo che consente a Google una forma di esclusiva (in accordo con gli autori stessi) sulle opere digitalizzate e messe online. Si tratta di un accordo che riguarda un certo numero di autori le cui opere sono a tutt’oggi sotto copyright ma in gran parte non più pubblicate. Opere che verosimilmente non genereranno più alcun introito né per gli autori né tanto meno per i suoi editori. Si tratta anche, abbastanza verosimilmente, di un accordo non replicabile e dotato di una forma di opt-out per editori ed autori assai controversa e come tale giustamente impugnato da molte associazioni editoriali in tutto il mondo.
E tuttavia una questione del genere torna buona per mettere in discussione per l’ennesima volta e con toni sempre più accesi l’intera operazione di Google Books, che ha un solo grande impatto spesso sottaciuto: incide profondamente in quella carestia culturale indotta di cui parla Calamari e che è la vera ragione dell’ostracismo diffuso verso l’iniziativa.
Nessuno dei soggetti in campo percepisce evidentemente come un valore che la cultura venga messa in circolazione. Leggiamo lunghe dissertazioni sui rischi legati al fatto che Google svilirà il patrimonio librario farcendolo di pubblicità o, come si sostiene con qualche ragione da più parti, digitalizzando i testi con superficialità e sbadataggine, ma da nessuna parte si sottolinea il valore per i cittadini che una iniziativa del genere crea. Google è il male e l’elenco delle colpe attribuitegli con svizzera precisione è assai lunga: si va dagli errori di attribuzione, a quelli di digitalizzazione, dagli accordi in esclusiva ai rischi per la privacy dei cittadini.
È sufficientemente trasparente il fatto che molti dei soggetti accusatori di Google non hanno grande titolo per improvvisarsi difensori preoccupati della cultura, essendo loro stessi anima e costruttori di un numero assai ampio di barriere alla diffusione della cultura stessa. A questo si aggiunge nel nostro paese una ulteriore nota di perplessità. Le biblioteche italiane sopravvivono nella più assoluta decadenza: non ci sono i soldi per digitalizzare nemmeno le opere più preziose, per la verità non ci sono nemmeno i soldi per pagare la cancelleria ed i libri, gran parte dei libri, sono tenuti distanti dalla consultazione di studiosi ed esperti da questioni banalmente economiche ma cruciali come la carenza di personale. Ai cittadini che chiedono di consultare testi non recenti vengono proposti (a pagamento) substrati vetusti come il microfilm o corpose partecipazioni economiche alla digitalizzazione (mia moglie ha recentemente dato mandato ad una biblioteca dell’Italia del nord per digitalizzare un testo non altrove disponibile alla modica cifra di 80 euro + un CD vuoto da spedire preventivamente). In casi del genere al posto del lavoro di Google-Evil la digitalizzazione del patrimonio librario avviene a spese del cittadino interessato alla consultazione oppure non avviene per nulla. Se altrove l’alternativa è la discesa in campo di altri soggetti anche istituzionali che potrebbero fare lo stesso lavoro di Google Books a condizioni migliori (anche se spesso con un respiro meno internazionale) in Italia semplicemente questa eventualità non esiste.
Le questioni di principio sono importanti e Contrappunti da tempo ne ha fatto una bandiera del proprio sproloquiare, ma il contesto in cui si filosofeggia lo è talvolta anche di più e davvero in questo paese le dissertazioni sul colore troppo carico della carta da parati mentre la casa crolla andrebbero in qualche misura più spesso sottolineate. Specie quando – nei casi peggiori – l’esteta della carta da parati ha in mano il martello pneumatico del demolitore.
Tutti gli editoriali di M.M. sono disponibili a questo indirizzo