Contrappunti/ Ci pensa mamma tecnologia

Contrappunti/ Ci pensa mamma tecnologia

di M. Mantellini - Gli ingegneri come demiurghi. Che selezionano, filtrano e digeriscono la tecnologia prima di offrirla al grande pubblico
di M. Mantellini - Gli ingegneri come demiurghi. Che selezionano, filtrano e digeriscono la tecnologia prima di offrirla al grande pubblico

Due cose mi sono rimaste in mente nel fine settimana che si sta concludendo. Entrambe riguardano la tecnologia ed il controllo. La prima è una immagine presa da un elicottero di uno dei due attentatori di Boston, nascosto dentro una barca segnalato ai sensori dalla temperatura del suo corpo; l’altra, una frase di Eric Schmidt, CEO di Google, contenuta in una sua lunga intervista pubblicata sul Guardian di sabato. Questa:

“Un classico esempio è il fatto che uno dei nostri gruppi ideò un sistema di riconoscimento facciale. Era davvero molto buono, lo stato dell’arte, nel momento in cui fu progettato. Decidemmo di bloccare il progetto per due ragioni. La prima è che sarebbe stato illegale in Europa, la seconda che per le stesse ragioni non sarebbe stato un buon prodotto da offrire negli Stati Uniti. Così alla fine non l’abbiamo fatto”

La foto di Boston e la frase del capo di Google sono unite da un filo nemmeno troppo sottile che riguarda la potenza formidabile della tecnologia. Possiamo fare cose incredibili oggi, come è del tutto evidente anche agli occhi del profano e come del resto ci piace ogni volta sottolineare. Sappiamo riconoscere piccoli segni, domani potremo forse pensionare i nostri bulbi oculari ed affidarci a macchine infallibili che osservano ed ascoltano meglio di noi. Del resto cosa sono i Google Glass se non nuove protesi magiche in grado di amplificare il mondo?

Nonostante tutto la storia degli attentati a Boston è anche il racconto esatto delle intersezioni fra desiderio e tecnologia, fra bombe terribili costruite con una pentola a pressione e ben più sofisticati strumenti riservati a pochi. E nonostante questa evidente sproporzione non è chiaro chi ne esca vincitore. Alla stessa maniera Google immagina se stessa nel ruolo del mediatore raziocinante: scelgo io per te, dice Eric Schmidt, quali siano le tecnologie buone e quali no. Se il riconoscimento facciale può favorire i piani dello stalker io – tecnologo – mi faccio carico di una simile responsabilità etica e blocco il progetto.

Tutto questo ha ovviamente limiti intriseci formidabili che riguardano poco o nulla i progetti tecnologici di Google o degli altri giganti tecnologici ma che invece dovrebbe interessare molto noi cittadini. Chi stabilisce quale tecnologia è buona o cattiva? Pericolosa o utile? Giusta o sbagliata? Non solo i governi che hanno, come è ben evidente dalle foto di Boston (ed anche dalle discussioni in atto in questi mesi in USA sui droni ), una sorta di percorso tecnologico parallelo che non ci riguarda troppo direttamente e che salta, in nome della sicurezza nazionale, quasi ogni filtro etico. Chi altri allora? I tecnologi, come sostiene Schmidt? Ed in nome di quale rappresentanza? In nome del buonsenso di chi?

Vint Cerf scrisse qualche anno fa qualcosa di molto esplicito al riguardo: parlava proprio di questo, della centralità degli ingegneri nelle decisioni cruciali della società evoluta. E ne era anche discretamente soddisfatto. Ma davvero possiamo concederci un simile lusso? Davvero possiamo fidarci di un tecnologo di talento?

La tecnologia corre, le nostre capacità di analisi intellettuale su di essa (quelle che ci siamo date nei secoli e che abbiamo trascritto in norme e regole) un po’ arranca, un po’ è vissuta come un freno. A giorni alterni veniamo colti dal dubbio: da un lato le nostre paure di essere controllati, dall’altro le nostre ansie di essere protetti. Dentro questo impossibile equilibrio esiste oggi, ed è indubbia, una etica degli ingegneri che è ogni giorno più importante e della quale, in ogni caso, sembra assai difficile fidarsi completamente.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
22 apr 2013
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