Mafe de Baggis qualche giorno fa su queste pagine ha riassunto da par suo i limiti della transizione editoriale verso il digitale. Aggiungo un punto, se posso: nella dieta prevista e canonica necessaria per dimagrire, è incluso per l’industria dei contenuti un ulteriore sacrificio, indipendente dal tipo di regime calorico scelto. Quello di accettare non solo il ritorno al peso forma ma anche quello di una sostanziale ulteriore magrezza imposta. L’industria dei contenuti dopo Internet sarà, necessariamente e per un periodo più o meno lungo, economicamente meno florida di quella precedente, almeno per i grandi attori protagonisti del mercato di massa, e questa è di per sé una idea molto difficile da accettare.
Fra i bisbigli di questi giorni c’è quello legato al rapido disinnamoramento degli editori verso iPad. Il tablet di Apple è stato prima vigorosamente invocato dagli editori come il salvagente digitale che li avrebbe tenuti a galla, poi, mano a mano che dagli entusiasmi iniziali si passava a numeri di vendita medio-bassi, è iniziato lo scaricabarile solito: se gli incassi non sono entusiasmanti la colpa è dello strumento, in alternativa della scarsa predisposizione verso il nuovo dei lettori, infine di Internet che estende la lunga mano della sua concorrenza sleale agli ambienti economici recintanti dei contenuti editoriali.
Per continuare ad usare la metafora di Mafe, qui non siamo di fronte ad una industria che fa la dieta con gli zuccheri ma di una vera e propria crisi bulimica che rende difficile ogni valutazione di scenario. Secondo Condé Nast dovrebbe evidentemente essere logico che i lettori acquistino mensilmente la versione per iPad di GQ a 5 dollari, quando il medesimo editore vende in abbonamento la medesima copia cartacea a circa un dollaro. In nome di quale coma diabetico è possibile immaginare come plausibile un contesto economico del genere?
Lo stesso accade, anche in Italia, con la distribuzione dei libri elettronici. Qualsiasi fruttivendolo che decidesse oggi di vendere i lupini a 100 euro al chilogrammo verrebbe rapidamente additato come un pazzo, invece l’editore dell’ultimo romanzo di cassetta può proporre prezzi dopati per i propri testi in formato elettronico senza alcun evidente biasimo sociale. Merito forse del mercato di riferimento è che attualmente una piccola nicchia di un mercato di nicchia. Così, per fare un solo esempio fra i tanti possibili, in questo momento su IBS il nuovo libro di Roberto Saviano “Vieni via con me” costa in versione cartacea 9,10 euro (30 per cento di sconto sul prezzo di copertina) mentre lo stesso testo in versione elettronica viene venduto a 9,99 euro.
Il primo dei due formati assomma i costi della carta, dell’inchiostro e della stampa a quelli della distribuzione, il secondo presume che il lettore abbia acquistato un device apposito, abbia confidenza con un lucchetto software che lo rende incompatibile con il più comune degli ebook reader sul mercato, che la sua protezione software su iPad costringa a un numero molto ampio di procedure per poter essere letto tra le quali l’installazione di una app dedicata di una software house terza che serve solo a quello, e che infine il cliente accetti a cuor leggero di non poterlo prestare nemmeno alla propria zia informatizzata. Quasi tutti i grandi editori italiani utilizzano il medesimo lucchetto software di Adobe: nelle loro menti probabilmente il lettore di libri elettronici è un individuo con enormi capacità di adattamento ambientale. Perché dovrebbe lamentarsi del tempo nuvoloso quando in fondo potrebbe anche piovere?
Sono le incertezze delle epoche di transizione ma non ci si può poi meravigliare troppo se molti lettori tecnologicamente avanzati in contesti del genere più che una dieta ipocalorica augurino all’industria dei contenuti alcuni anni di rieducazione in una sperduta casa di detenzione turca.
Il tema del prezzo e quello dell’usabilità sono del resto solo due di quelli in campo. C’è poi quello di un rapporto fiduciario tutto da immaginare: mi spiace doverlo sottolineare così brutalmente, ma su Internet non sarà possibile per nessuno derogare ad un rapporto stretto e continuo con la propria affezionata utenza. Fino a quando la diffidenza (per non dire peggio) sarà la premessa più comune verso la propria nuova clientela digitale, non sarà possibile aprire grandi e nuovi spazi di business. Per questo sono straordinariamente importanti gli esperimenti di social DRM che alcuni editori italiani hanno iniziato a proporre. Da altre parti in molti invocano un ulteriore passo verso la normalizzazione dei formati digitali, una loro maggior compatibilità e magari la creazione di una vera edicola elettronica, per lo meno dentro lo store di Apple, ma perché no, anche altrove, nella quale, esattamente come accade nel mondo di carta, la gente possa entrare e scegliere cosa acquistare senza dover legarsi fisicamente ad una applicazione proprietaria per ogni diverso contenuto richiesto.
Più semplicità e maggior trasparenza insomma, e prezzi adeguati, per dare l’abbrivio iniziale ad un ambiente economico che ha un enorme bisogno di crescere sano e ampio nell’interesse di tutti.
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