Roma – Mettiamola così. Ho letto le pagine sullo sviluppo tecnologico del paese contenute nel programma elettorale dell’Unione presentato qualche giorno fa e le ho trovate di buon livello. Oppure mettiamola così: ho letto quelle stesse pagine e mi sono parse francamente deludenti. Possono coesistere questi due opposti punti di vista? Ho idea di si.
Scrivere un programma politico per l’innovazione del paese non è cosa semplice. Alludo alla esigenza di bilanciare in un documento tutto sommato sintetico, necessità talvolta opposte e diversissime. Se poi si aggiunge, come nel caso in questione, che il programma deve mostrare significative compatibilità con i programmi dei singoli partiti che compongono la coalizione, allora vi accorgerete che ci troviamo di fronte, più che ad un semplice documento politico, ad un complicato gioco ad incastro.
Vediamo cosa dice il programma di governo del centro-sinistra sui temi a noi cari. Sulla diffusione della larga banda in Italia afferma intanto, con sufficiente chiarezza, ciò che da queste parti andiamo ripetendo da anni:
“Sotto il profilo infrastrutturale dobbiamo assicurare lo sviluppo della banda larga su tutto il territorio nazionale, fino ai piccoli comuni, permettendo a questi ultimi di connettersi in rete e consentendo agli utenti dei rispettivi territori di accedere comodamente all’e-government. Dobbiamo incentivare gli operatori privati a rendere disponibile su tutto il territorio nazionale servizi di connettività a larga banda e prevedere, eventualmente e in via sussidiaria, un intervento pubblico nelle aree disagiate dove il mercato non riesce ad operare.
Tutto ciò è condivisibile ma non è sufficiente. Il sostegno dell’amministrazione politica del paese allo sviluppo della larga banda rischia di trasformarsi, in un paese come il nostro nel quale un unico operatore è il quasi monopolista della connettività alla rete, in quello che sono stati gli inutili incentivi alla larga banda del governo Berlusconi: una misura inefficace, una piccola o grande regalia di Stato ad una azienda, Telecom Italia, che oggi controlla di fatto le dinamiche di accesso alla rete. Sarebbe oggi quanto mai necessario “sfilare” gli indirizzi tecnologici del paese dalle mani del mercato delle TLC almeno fino a quando tale mercato non mostri chiari segni di effettiva competitività (ma probabilmente anche dopo): una cosa sono infatti gli affari e la quadratura dei bilanci, un’altra le necessità della popolazione nei confronti di servizi innovativi che abbiano rilevanza comunicativa e culturale.
Del punto centrale e spinoso della separazione fra gestione della rete di trasmissione e offerta di accesso a Internet nel programma di Romano Prodi non si invece fa alcun chiaro accenno. Ed è un peccato, perchè chi ha scritto quelle pagine certo conoscerà assai bene la scelta coraggiosa sulla market equivalence che Ofcom ha adottato in Gran Bretagna nei confronti di British Telecom imponendo la creazione di una società ex-novo, gestita da amministratori indipendenti, che gestisce a condizioni paritarie per tutti gli operatori il mercato all’ingrosso della banda di accesso a Internet. Il lettore malizioso quale io sono, sembrerebbe autorizzato a pensare che nel programma dell’Unione la assoluta supremazia di Telecom Italia (e le significative conseguenze su indirizzo tecnologico e tariffe) continui a non richedere alcuna azione di contenimento.
A questo punto di estrema debolezza trovo se ne aggiunga un altro, altrettanto importante e direttamente collegato. Scrivere come fa in più punti l’Unione nel suo programma che si garantirà “più informazione e più libertà”, che si lotterà per la autonomia di Internet e per il diritto a comunicare e ad informarsi, che ci si adopererà per “conciliare i diritti di autori ed editori con l’interesse comune alla massima diffusione della cultura e delle idee”, che si sceglieranno software open source e licenze non commerciali, rischia di trasformarsi in un lungo elenco bellissimo ed inutile se non si afferma contestualmente l’intenzione di salvaguardare la “neutralità della rete”.
Oggi qualunque partito che si presenti alle elezioni gridando a gran voce (come fanno tutti) che desidera lo sviluppo e la prosperità di Internet deve scrivere a chiare lettere che nessuno avrà domani il diritto di opporre limiti e regole alla struttura architetturale della rete. Diceva Vinton Cerf poco tempo fa davanti al Congresso degli Stati Uniti dove si sta discutendo della nuova pessima normativa statunitense sulle telecomunicazioni:
Man mano che ci spostiamo verso un ambiente a larga banda e che eliminiamo una secolare discriminazione per il possesso degli strumenti necessari, un livello di basso profilo delle regole di neutralità per assicurarsi che Internet continui a crescere è necessario. Le compagnie telefoniche non possono dire ai consumatori chi devono chiamare; gli operatori di rete non possono dettare quello che la gente fa online”.
La “rete stupida”, immaginata da David Isenberg molti anni fa e poi ripresa da Doc Searls e David Weinberger in quel saggio illuminato che è World of Ends è oggi, da sola, la principale tutela dei nostri interessi di cittadini collegati. Chiunque abbia chiaramente compreso cosa sia Internet dovrebbe scriverlo a caratteri cubitali dentro il proprio programma politico: “Voglio una rete Internet neutrale”. Tutto il resto verrà di conseguenza. Ma anche di ciò nelle 281 pagine del programma di Romano Prodi non c’è alcuna traccia.
I precedenti editoriali di M.M. sono qui