Come scrive giustamente Maurizio Codogno, che è uno che di matematica se ne intende, con questa facciamo quattro. Quattro cosa direte voi? Quattro volte che i governanti di questo paese propongono norme legate alla rete Internet che invece che perseguire i colpevoli di reati contro l’ordinamento, impediscono semplicemente ai cittadini la navigazione su pagine web potenzialmente lesive.
Nel pacchetto sicurezza approvato al Senato giovedì scorso c’è un articolo , presentato dal Senatore D’Alia dell’UDC che così recita:
Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.
Si tratta di una ipotesi legislativa assai pericolosa, ampiamente discrezionale e direttamente collegata al diritto alla libera espressione da parte dei cittadini. Ma non è solo questo il punto. Il fatto è che si tratta di una norma paternalistica nel senso peggiore del termine.
Quattro dicevamo, ecco un breve riassunto. La prima, sciagurata idea del genere è stata quella legata ai siti web di scommesse. Come è noto qualche anno fa i Monopoli di Stato hanno ottenuto di imporre l’oscuramento dei siti web di scommesse che non avessero ottenuto l’autorizzazione preventiva da parte dello Stato ad esercitare la nobile arte. Non era difficile prevedere che una simile censura tecnica avrebbe avuto un grande successo ed infatti la stessa procedura dell’oscuramento dei DNS è stata successivamente utilizzata nelle normative contro la pedopornografia e più recentemente nei confronti di siti web che consentivano l’acquisto di sigarette.
Internet è un posto meraviglioso nel quale succedono cose altrove impossibili. Per esempio su Internet è possibile ovviare alla seccante incombenza di inseguire ed arrestare i delinquenti (nel senso più ampio possibile del termine), è sufficiente ignorarli e contemporaneamente proteggerne la vista ai cittadini, calando una mano benevola davanti agli occhi di 50 milioni di italiani. Il cittadino non viene più eventualmente perseguito per un reato che ha appena commesso ma viene paternamente allontanato dalla possibilità di compierlo. Il prezzo da pagare a tutto questo è una vistosa lesione dei diritti individuali il cui nome corretto è “censura”.
Oggi il Senatore Gianpiero D’Alia evidentemente scosso dalle fuorvianti notizie di stampa sui mafiosi approdati su Facebook (una delle notizie più irrilevanti degli ultimi anni) ha pensato di amplificare ulteriormente il raggio di azione dello Stato-babbo. Se la norma presentata nel disegno di legge verrà approvata anche alla Camera, alla mano benevola calata sugli occhi dei potenziali scommettitori o pedopornografi, se ne aggiungerà una seconda, direttamente appoggiata sulle loro bocche, visto che le opinioni, la grande parte delle opinioni dissenzienti con l’ordine precostituito, diventano su Internet oggetti da maneggiare con estrema cautela. Dentro la definizione di “apologia o istigazione” un magistrato sufficientemente fantasioso, magari sull’onda della indignazione pubblica, potrà inserire infatti l’universo-mondo. Ogni parola sarà a rischio.
C’è una idea di stato di polizia che è ben evidente negli orientamenti di questo governo, non solo in quelli legati a Internet (basti pensare che la versione originale della norma proposta lasciava mano libera al Ministro dell’Interno senza preoccuparsi nemmeno della necessità di investire la Magistratura su simili provvedimenti di oscuramento), ma c’è soprattutto la conferma di una trasversalità politica nota. A tal riguardo è significativo che il paragrafo censorio del Disegno di legge sulla sicurezza sia stato scritto da un Senatore che non fa parte della compagine governativa. Le tematiche legate all’innovazione ed ai rischi legati allo sviluppo di Internet sono, per una serie di ragione, le uniche capaci di ricompattare le fila di tutto l’arco parlamentare verso votazioni quasi unanimi di sovietica memoria.
Gioca in questo una incultura politica diffusa. Nessuno si sarà del resto preoccupato di informare il giovane senatore siciliano della complessità della materia sulla quale si sta cimentando. A nessuno dei tanti parlamentari che firmeranno a cuor leggero il provvedimento verrà in mente che per chiudere il fan club di Riina su Facebook o un ipotetico gruppo di appoggio ad Hamas, l’unica possibilità tecnica sarà quella di impedire l’accesso a tutto Facebook a oltre 6 milioni di Italiani. Per le singole pagine web dei cittadini che intenderanno comunque esprimere opinioni diverse da quelle approvate dalla morale comune sarà invece tutto assai più semplice.
La politica italiana immagina che la propria norma possa essere generico deterrente ma così purtroppo non è. Leggi di questo tipo descrivono invece solo se stesse, la scarsa cura verso i cittadini di chi le propone e firma, l’arroganza ormai consolidata di chi legifera senza conoscere la complessità del mondo che lo circonda. Non c’è una connotazione politica in questo atteggiamento, vale la pena ricordare che l’oscuramento dei siti pedopornografici via DNS è stata approvato e fieramente sostenuto a suo tempo dal Governo Prodi e dal suo Ministro Gentiloni. Siamo abbastanza certi che le stesse persone non troveranno nulla di strano nel votare anche questo ennesimo schiaffo alla libertà di espressione dei cittadini che rappresentano.
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