L’altro ieri mi ha telefonato un giornalista friulano chiedendomi un parere sulla decisione appena comunicata della regione Friuli-Venezia-Giulia di chiudere l’accesso a Facebook ai propri dipendenti. Mentre rispondevo alle domande che mi venivano poste mi sono reso conto di non avere un parere troppo chiaro sulla vicenda.
Perché in realtà quello che sta accadendo negli ultimi mesi in questo paese con Facebook non ha alcun riscontro precedente nella lenta marcia di avvicinamento degli italiani agli strumenti tecnologici. Nel giro di pochissimo tempo molti milioni di persone hanno deciso di avvicinarsi a Facebook registrando il proprio profilo, utilizzandone gli strumenti più intuitivi e decretandone un successo di pubblico del tutto inatteso. Non c’è dubbio che questa variabile numerica cambia alcune delle carte in tavola.
Ci sono alcuni argomenti noti a sostegno della necessità di liberare gli strumenti tecnologici dal controllo del datore di lavoro. Il più importante di questi è quello della apertura a collegamenti che possano essere utili all’azienda stessa anche quando non preordinati. Se la preoccupazione delle amministrazioni è quella che il proprio dipendente perda tempo a scambiare messaggi su Facebook con i propri ex compagni di scuola, il risultato collaterale della chiusura di Facebook sarà anche quello dell’annullamento di una possibile magari inattesa interfaccia professionale.
Va poi considerato che oggi in Italia Facebook è sottoposto ad un effetto novità molto forte: il risultato atteso nei prossimi mesi sarà quello di un appianamento della curva di nuovi iscritti con un consensuale fisiologico calo del suo utilizzo. Da ciò si potrebbe dedurre che forse non è questo il momento ottimale per valutarne le ricadute negative in termini di impatto sui cicli lavorativi.
Si dovrebbe anche considerare che decisioni come quelle della regione Friuli Venezia Giulia si inseriscono a pieno diritto in una sorta di rappresentazione mediatica che il ministro Brunetta replica ormai da molto tempo nella sua personale lotta ai “fannulloni”. Provvedimenti spettacolari accompagnati da slogan assai grossolani che fanno leva su tematiche certamente reali, ad uso e consumo più della propria emersione mediatica che non di un concreto disegno di miglioramento degli strumenti della pubblica amministrazione.
Come sottolineava una amica ieri, il “danno da fannulloni” legato a Facebook per la regione Friuli Venezia Giulia ha una valenza mediatica, mentre quello da eventuale prolungata permanenza dei dipendenti di fronte alla macchinetta del caffè no. E, proseguendo di questo passo, quali altri siti web sarà opportuno negare ai dipendenti pubblici? I siti di news sono funzionali al loro lavoro? Gazzetta.it lo è?
Nonostante tutte queste motivazioni esistono anche alcune ragioni per comprendere le decisioni della regione Friuli Venezia Giulia. Il comunicato dell’Ansa ci informa che:
“(…) il direttore del Personale, Augusto Viola, ha sospeso il collegamento con Facebook per tutti i dipendenti pubblici e anche per i politici della Regione perché riteneva che venisse fatto un uso improprio di questo servizio”
Sono le stesse ragioni di banale opportunità per la quale ormai quasi tutte le amministrazioni e le aziende private negano l’accesso dall’interno delle proprie reti ai siti pornografici o a quelli di scommesse, rafforzate in questo caso dall’evidenza del fatto che il numero di italiani che oggi ha un profilo su Facebook è tale che, forse per la prima volta, si pone davvero una questione meramente quantitativa, legata non tanto alla qualità ed alla tipologia dei luoghi della rete visitati, quanto al numero di persone che oggi in Italia utilizzano il proprio tempo lavorativo dedicandosi al social networking.
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