Una regola aurea (chiedete a Bill Gates per maggiori approfondimenti) che andrebbe seguita sempre è la seguente: non mescolare affari e beneficenza. Il business, a differenza di quanto troviamo molto spesso scritto nelle mission delle aziende Internet, non ha come proprio scopo quello di guarire i mali del mondo. Potrà anche succedere che in brevi istanti questo accada, che interessi aziendali e intenti caritatevoli possano in un certo momento magico coincidere ma, mediamente, non è così.
È naturale che quando Facebook annuncia un piano strategico per far diventare la connettività un diritto dell’umanità e per portare Internet a 5 miliardi di abitanti del pianeta, il cinico pessimista che abita in me pensi due cose: la prima, la più cinica e pessimista, che nella Silicon Valley abbiano preso a modello certe vaporose campagne di marketing buoniste italiane tutte incentrate sui diritti fondamentali dei cittadini all’accesso e sul blablabla del gratuito come prerogativa costituzionale; l’altra, meno pessimista ma ugualmente disagevole, che dietro a tutto questo ci sia semplicemente una strategia di business per i prossimi anni travestita da azione caritatevole.
Il progetto , opportunamente presentato dietro un dominio .org ( internet.org ), a sottolineare fin dall’inizio il carattere filantropico, aperto e disinteressato dell’operazione, si basa su alcune idee interessanti anche se non completamente inedite. La principale sembra essere quella secondo la quale si possa ipotizzare per il futuro una rete Internet gratuita, basata sui contenuti più leggeri come quelli testuali da immaginare come primo passo alla connettività. Ovviamente chat, social network sarebbero fra questi, insieme a motori di ricerca e Wikipedia; secondo questo progetto di Facebook, con una serie di accorgimenti tecnologici allo studio e con la collaborazione dei produttori di telefoni cellulari e altri operatori del settore, sarà possibile ridurre in maniera rilevante la quantità di dati necessari a questi utilizzi basilari, riuscendo così a mantenerli gratuiti. Questo accesso di base offerto dalle compagnie di rete mobile ai cittadini della parte meno fortunata del pianeta dovrebbero fare poi da volano ad una Internet premium, simile a quella che utilizziamo noi oggi e quindi necessariamente a pagamento.
Gli interrogativi che questo modello apre sono numerosi, ne cito solo due: le reti mobili sono, come è noto, reti non neutrali e come tali non sono l’ideale se si desidera democratizzare l’accesso a Internet. È del resto piuttosto chiaro che per ragioni di infrastruttura nei paesi in via di sviluppo il traffico dati dovrà utilizzare quel tipo di architettura, tuttavia un progetto come questo acuisce ulteriormente le già note criticità della neutralità delle reti cellulari in particolare la definizione di quali tipologie di dati possano o non possano essere comprese nell’ipotetico accesso gratuito. Uno dei punti fermi per lo sviluppo di Internet nei paesi oggi non connessi è immaginare che, se esiste una sola rete di accesso, questa sia il più possibile neutrale e perciò assai differente dalle reti mobili che conosciamo in occidente.
Credo poi non sfugga a nessuno che fra i servizi compresi nell’ipotesi di offerta gratuita di Zuckerberg ci sono quelli di Facebook e che già oggi, come ha ricordato The Verge , in certe parti del mondo esistono servizi come Facebook for every Phone che prevedono accesso gratuito per un certo periodo al social network e poi il passaggio a pagamento. In altre parole più che una idea di “Internet come diritto” quella di Zuckerberg assomiglia abbastanza ad una idea di “Facebook come diritto” anche per quei miliardi di persone che non lo utilizzano ancora. Tutto questo implica un inevitabile sguardo competitivo nei confronti degli altri attori della Internet attuale.
Esiste poi una difficoltà di fondo ad accettare questa idea di Internet mediata dall’accesso a Facebook. Internet non è Facebook e sarebbe bene che non aspirasse ad esserlo, nemmeno lontanamente. Perché Facebook rappresenta l’esatto opposto della idea di Rete che abbiamo per oltre un decennio immaginato possibile e che ha fatto crescere Internet nel mondo. È piuttosto curioso che il progetto caritatevole di Facebook inizi con questa frase: “Per quasi dieci anni, Facebook ha avuto come missione quella di rendere il mondo più aperto e più connesso”. Se ci badate è una frase perfetta: se avessimo trovato scritto “Facebook ha avuto come missione quella di rendere Internet più aperta e connessa” avremmo gridato alla bugia patente, invece, così costruita, quella frase rappresenta solo una mezza verità per quelli disposti a crederci. È possibile rendere il mondo più aperto e connesso attraverso una piattaforma chiusa e recintata? Forse, almeno in parte, ma solo perché il mondo precedente era incomparabilmente brutto e chiuso, così anche la mezza Internet di Facebook può essere utile a migliorarlo.
Quando Orange qualche anno fa ebbe l’idea , con un progetto bellissimo, di consentire l’accesso gratuito dai suoi terminali a Wikipedia nei paesi africani, immaginò un gesto di grande intelligente aiuto allo sviluppo di Internet dove non c’era e così facendo garantì anche i propri interessi aziendali. Quando Facebook immagina di portare a 5 miliardi di persone un accesso alla Rete che consenta loro di utilizzare prima di tutto Facebook, presunto presidio planetario della democrazia all’accesso, si applica in una scelta comunicativa spericolata che è assai efficacemente sintetizzata in questo titolo : “Portare Internet ai poveri: un business travestito da beneficenza”.
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