Roma – Si puo’ commentare fuor di polemica la sentenza della Corte Suprema che ha dato torto a Eric Eldred nel suo tentativo di opposizione alla estensione di ulteriori 20 anni del copyright in USA discusso qualche mese fa dal Prof. Lawrence Lessig ? Forse sì. Lo fanno fortunatamente in molti in queste ore, a partire da Lessig stesso.
È necessario uscire dalla spirale perdente di chi sottolinea il controllo della grande industria sul congresso americano e ne piange gli effetti perversi sulla comunità internazionale, senza riuscire ad immaginare null’altro di concreto. E allora tanto vale sottolineare, come ha fatto Siva Vaidhyanathan su Salon , l’onda lunga di ritorno che l’attivismo anticopyright ha creato in questi anni.
Quando nel 1999 Lessig presento’ il ricorso contro il Sonny Bono Copyright Term Extension Act (la legge del 1998 che estende per l’undicesima volta nell’ultimo mezzo secolo il copyright di ulteriori 20 anni) molte delle forze in campo che oggi si concentrano sulle problematiche relative allo sviluppo delle nuove tecnologie ed alla diffusione della conoscenza, non esistevano. Se si esclude la EFF molte delle associazioni come ad esempio digitalconsumer.org che si occupa della tutela del fair use nel mondo digitale o Chilling Effects Clearinghouse non erano ancora nate.
È aumentata insomma un po’ in tutto il mondo l’attenzione per i diritti cibernetici i quali, a mano a mano che danno segno di sè nella società contemporanea, diventano l’oggetto di contenziosi e limitazioni spesso arbitrari ed antimoderni. Stretti come sono fra le paranoie post 11 settembre da una parte e l’attività di lobbing della grande industria dall’altra (basti pensare al Digital Millennium Copyright Act) i membri del Congresso americano e i nostri governanti più in generale hanno oggi come unico interlocutore serio in tematiche del genere la mobilitazione popolare.
Non da ieri Lessig sostiene come il passo successivo unico ed inevitabile dopo il fallimento delle cause legali è quello che siano i cittadini stessi ad attivarsi presso i propri rappresentanti. Nel caso specifico quei membri del Congresso che sono – come la Corte Suprema ha affermato il 15 gennaio scorso, gli unici soggetti in grado di adeguare leggi e normative al mondo che cambia. Molto deve essere ancora fatto in questo senso e certo in Europa non è che la situazione possa in tal senso definirsi rosea. Tale e tanto è lo scollamento fra rappresentanza politica ed elettori che davvero sembra un moto di spirito quello di invocare la necessità che i politici scelgano in funzione dell’interesse generale. Specie in materie come quelle legate alle nuove tecnologie, spesso per loro di difficile comprensione.
Nello stesso tempo resta in ogni caso forte e ben visibile un movimento più o meno sotterraneo ma in costante espansione di utenti che al sostegno politico del pubblico dominio e dei suoi effetti benefici preferiscono la violazione più o meno cosciente delle leggi. La grande massa di materiale sotto copyright che transita in rete nei circuiti P2P è tutto tranne che la giusta risposta a leggi inique e vetuste.
Il sillogismo del tipo “i CD costano troppo, scarico la musica in mp3” è solo apparentemente utile alla causa di chi cerca di fare in modo che Internet possa diventare il veicolo preferenziale attraverso il quale accrescere la conoscenza e la comunicazione nel pianeta. Si tratta di un dato di fatto, in rete circola ormai di tutto in quantità esponenzialmente crescente e tutto cio’ avviene in barba ad ogni normativa e limitazione.
Ma la strada da percorrere non puo’ essere che quella della composizione degli interessi di tutti. Solo così sarà possibile evitare bestialità come la storiella della canzone “Happy birthday to you” che tutti abbiamo cantato almeno una volta nella vita. Piccolo illuminante esempio di come la disciplina del copyright abbia assoluto bisogno di una profonda e rapida revisione in tutto il mondo.
La canzone, scritta alla fine dell’ottocento da due maestrine d’asilo, le sorelle Mildred e Patty Hill, fu registrata da una loro sorella solo nel 1935. Oggi dopo molti passaggi editoriali “Happy Birthday to you” è di proprietà di Aol Time Warner. Chiunque desideri cantare in pubblico “Tanti auguri a te”, anche solo al ristorante, deve (dovrebbe) corrispondere a Time Warner le royalties corrispondenti ed infatti la multinazionale dell’intrattenimento guadagna dalle esecuzioni pubbliche di tale canzoncina circa 2 milioni di dollari l’anno. Dal 1946 nessun parente delle sorelle Hill, che avevano scritto il pezzo per allietare i bambini dell’asilo nel quale lavoravano, riceve da tale composizione un solo centesimo. Il Sonny Bono Act ha esteso fino al 2030 la copertura della Warner su tale pezzo musicale.