Forrester dice che alla gente i blog aziendali, i cosiddetti “corporate blog” non piacciono. Che i clienti non si fidano. Che simili strumenti di relazione non aiutano troppo la reputazione della azienda. Forse non era difficile prevederlo. Le aziende, specie quelle grandi, viste con gli occhi del cliente, sono spesso entità astratte, la cui rappresentazione è demandata quasi interamente al messaggio pubblicitario. Moloch per il resto barricati dietro una linea telefonica di quelle del tipo “prema 2, prema 1 ecc” o al di là di un sito web e un indirizzo email attraverso il quale sarà difficile ottenere risposta.
Con queste premesse, che non sia un corporate blog il luogo principe della conversazione fra cliente e produttore non suona poi così strano: non è quello lo strumento adatto per spiegare a chi ha appena acquistato un prodotto quanto l’azienda sia sensibile, trasparente e umana.
Oggi in rete il discrimine fra una azienda di persone ed una azienda muro-di-gomma si traccia non dall’ammirevole desiderio astratto di conversazione dell’azienda nei confronti dei propri clienti quanto dalla capacità di ascolto e risposta nel momento in cui è il cliente stesso a voler – a torto o a ragione – conversare.
Gianluca Diegoli ha pubblicato qualche giorno fa un ebook fulminante intitolato “(mini)marketing, 91 discutibili tesi per un marketing diverso”. Leggendo la tesi numero 40
“Smettere di chiamare “pezzi” i prodotti venduti ai clienti è un buon primo passo di una strategia di marketing diverso. Smettere di pronunciare le parole “parco clienti” è un buon secondo passo”.
mi è venuto in mente un episodio accaduto qualche anno fa. Acquistavo libri online da un certo sito con discreta soddisfazione quando, come talvolta accade, un pacco a me destinato andò perso. Dopo due o tre mail, alcune telefonate a mio carico e qualche rimbrotto, l’azienda in questione mi chiese di spedirle un fax (un fax!) nel quale attestassi il mancato ricevimento dei libri. Una volta ricevuto il fax – disse l’imperturbabile signorina alle mie orecchie incredule – svolte le ricerche del caso presso gli uffici postali, mi sarebbe stato restituito l’importo (da me pagato settimane prima con carta di credito) attraverso un fulgido vaglia postale (vaglia postale!) spedito al mio indirizzo.
Ora io sarei pronto a sfidare qualsiasi azienda che intenda in questa maniera la cura del cliente ad aprire un corporate blog per spiegare a quello stesso cliente il lato umano, partecipato e dialogante del proprio business. Se davvero si desidera passare dal “parco clienti” alla parte abitata del business in rete non è sufficiente raccontare se stessi in modi differenti: un banale numero verde stampato sul proprio sito web per esempio (o anche solo un indirizzo skype) al quale risponda una persona in carne ed ossa, oppure scelte meno di impatto ma altrettanto significative come iniziare a rispondere ad una mail in tempi non biblici e senza messaggi automatici, potrebbero aiutare molto di più.
Avendo io cambiato libreria online, visto che la prima era diffidente nei miei confronti, in un caso analogo accaduto qualche anno dopo (acquisto online con spedizione non pervenuta) il mio fornitore di libri (che è anche quello attuale) rispose semplicemente riinviandomi un altro pacco analogo il giorno stesso della segnalazione di mancato ricevimento. In casi del genere non c’è alcun bisogno che l’azienda si sforzi di comunicare altrove quella stessa attenzione ed umanità che utilizza già per prassi o scelta commerciale.
Sempre a proposito di libri comprati online, qualche settimana fa Frederic Argazzi su Friendfeed raccontava di come in un caso di doppio invio di un pacco di libri, Amazon gli abbia risposto di tenerli entrambi e di regalare i libri eccedenti alla biblioteca della sua città. Piccole scelte che fanno grandi differenze.
Scrive ancora Diegoli in un’altra delle sue 91 tesi:
Non esistono più clienti “top”: ognuno di loro potrebbe avere un blog e domani essere al numero 1 di Google con un racconto di come l’avete considerato insignificante.
Analogamente non esistono più aziende top ma solo aziende capaci di creare una relazione con noi, relazioni che spesso travalicano la qualità stessa dei prodotti o dei servizi offerti. Dentro a questo forzato livellamento imposto dalla rete si creano grandi opportunità per le piccole aziende e discreti problemi per quelle grandi che, alla qualità delle relazioni con i propri clienti, devono aggiungere la non facilmente risolvibile questione della quantità.
Ma anche la quantità è un bene che è possibile gestire in maniera illuminata: tesi numero 30 dell’ebook citato:
“La media delle idee dei vostri clienti che possono nascere dalla conversazione è ovviamente mediocre, ma contiene sicuramente più di una idea che il vostro dipartimento ricerca e sviluppo non avrebbe mai pensato.”
Amen.
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