Roma – E’ nell’ordine delle cose. Più il gioco si fa grande, più Internet entra nelle case della gente ed inizia a far parte della vita di tutti, più l’ombra protettiva del business prova a farsi ampia ed onnipresente, condizionando la comunicazione online. Contare quanti siano gli italiani in rete è un’arte difficile che per anni è stata praticata con sana approssimazione. Per non dire peggio. Spesso i numeri della penetrazione di Internet diventavano simpatiche invenzioni degli uomini del marketing.
Gigantografie sfuocate di quel piccolo puntino che erano gli italiani online, quelli che c’erano sul serio, che utilizzavano ogni giorno il web e la posta elettronica così come usiamo l’auto o il rasoio, la penna o il telefono.
Esistevano società nate dal nulla che si incaricavano di gonfiare l’esplosione del fenomeno Internet, perchè gli investimenti arrivassero, perchè gli editori si decidessero a scendere online, perchè insomma si iniziasse tutti a crederci davvero ed un nuovo mercato si aprisse. Un tripudio di statistiche fenomenali e numeri inventati, istituti di ricerca improbabili che comunicavano dati strabilianti, puntualmente ripresi dai media, anche loro ansiosi di descrivere una modernità che il nostro paese ha sempre faticato a trovare.
Oggi qualcosa è certamente cambiato. Pur nei limiti di un ritardo che persiste ed è reale, Internet è ormai dentro le nostre vite. Lo si capisce ascoltando i commenti al bar di quanti hanno il computer infestato da Sasser. Fuor di statistica, parlare di worm davanti ad un caffè con la normalità un tempo dedicata alla sola nazionale di calcio, significherà pur qualcosa.
I worm ed i virus come Sasser non sono oggi più temibili di quelli di un tempo. Spesso creano danni modesti alle nostre macchine, talvolta non ne creano per nulla. Ma ormai regolarmente attirano su di loro una aura di attesa legata alla loro rapida ed ubiquitaria diffusione così come alla presenza ormai capillare di Internet nelle nostre case. Mirano alla rete più che ai nostri singoli PC. Argomenti fino a ieri riservati agli esperti ed agli amanti delle tecnologie oggi diventano patrimonio di tutti, toccano la conoscenza di ciascuno e piombano infine sui giornali e le TV. Mai e poi mai qualche anno fa Bill Gates avrebbe fatto una sciocchezza come mettere un taglia sul creatore dell’ultimo verme che ha attraversato i suoi sistemi operativi. Esattamente come George Bush che promette montagne di soldi a chi gli consegnerà Bin Laden, Microsoft prova ad usare i media dopo che i media hanno usato lei, annunciando al mondo intero le falle dei suoi formidabili software. Il tentativo è ovvio: spostare l’attenzione sulla malignità dell’altro (il programmatore di simili piccole odiose trappole software) dal vero centro della questione, cioè l’esistenza di buchi e debolezze varie nei software che tutto il mondo acquista ed utilizza. Sottolineando “acquista”.
In questo modo la Internet dei grandi numeri condiziona anche i comportamenti e le dinamiche della informazione sulla rete. Cambiano le sensibilità e i punti di osservazione e lo fanno avvicinandosi a quelli conosciuti della società reale. Il diciottenne tedesco che ha scritto Sasser è descritto su tutti i giornali come “l’untore”, incarcerato ovviamente, con la prospettiva di restare dietro le sbarre per molto tempo. Si chiama Sven ed è un ragazzo sfortunato. Avesse diffuso in rete il suo codice qualche anno fa ne avrebbe forse ricevuto come contropartita l’assunzione da parte di una società di sicurezza software. Lavoro insomma, invece che gattabuia, in una inversione del pensiero che era uno dei tratti affascinanti e distintivi della Internet dei primordi. Una rete che non c’è più, sostituita da un’altra nella quale, per casualità o cognizione, Bill Gates e George Bush con le loro taglie non fanno altro che ricordarci, più che un mondo ordinato e civile, la fin troppo celebrata epopea del west.
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