Contrappunti/ Il crepuscolo dei detentori dei diritti

Contrappunti/ Il crepuscolo dei detentori dei diritti

di M. Mantellini - Sono gli ultimi colpi di coda di un sistema protezionistico agonizzante. In attesa della naturale, ed inevitabile, evoluzione della specie
di M. Mantellini - Sono gli ultimi colpi di coda di un sistema protezionistico agonizzante. In attesa della naturale, ed inevitabile, evoluzione della specie

Gaia Bottà venerdì scorso, dalle pagine di questo giornale , annunciava l’ennesima estensione del copyright ratificata anche dal nostro Paese. Il tema è noto e variamente deprimente e forse potrebbe essere affrontato per una volta fuori dai comprensibili accenni ai quali ci siamo riferiti negli anni.

Forse potremmo cominciare a pensare che questa ennesima estensione della protezione delle opere dell’ingegno possa essere considerata per quello che è: il segni di una sconfitta dei detentori del copyright. I quali in questi anni hanno marciato spediti verso la realizzazione di un sogno egoista e personale, quello della trasformazione del diritto d’autore in un diritto di proprietà.

Trattare le opere dell’ingegno come fossero un immobile o un oggetto acquistato e diventato “nostro” è una forma di prevaricazione che la società della conoscenza semplicemente non può consentire. E che infatti, in un modo o nell’altro, non consente. Sembra farlo, nei fatti, allungando agli egoisti un contentino di tanto in tanto, consentendo di estendere i tempi di una no fly zone durante la quale nessun aereo nemico potrà sorvolare i nostri territori. Che sono nostri, privati e insomma noi ne facciamo quello che ci pare almeno per i prossimi cento anni. Nello stesso momento però, mentre veniamo rassicurati sulla nuova saldezza delle nostre ragioni, se abbiamo l’ardire di alzare gli occhi sopra il cielo di casa nostra lo vedremo popolato di mille velivoli differenze. Non solo in violazione delle norme che il sovrano ci ha appena cucito addosso ma anche al di fuori di queste: aerei di carta lanciati da un bambino dispettoso interrompono quel controllo che a noi era parso saldo e inscalfibile, droni strani da altri comandati vengono a bere acqua al nostro ruscello che avevamo protetto così bene.

Quando la società degli individui comprende che un prezzo che si è data non potrà essere pagato, perché non è giusto pagarlo, a dispetto di leggi e normative scolpite nella pietra e da tutti considerate intoccabili, in genere fa una cosa: non lo paga. Le leggi dello Stato seguono i valori della comunità, sono fatte apposta. Difficilmente accade il contrario. Quando quelle leggi invecchiano ed iniziano a rappresentare sempre meno persone, perché nel frattempo il mondo è cambiato e si sta dirigendo da un’altra parte, quelle leggi, semplicemente verranno infine modificate. Accade continuamente. Per esempio in Svizzera le donne hanno avuto diritto di voto nel 1971. Non vi sembra incredibile? Lo è. Ancora più incredibile che qualche anno prima, nel 1959, la Costituzione impose un referendum popolare sul diritto di voto alle donne. E i votanti, che erano ovviamente tutti uomini, dissero di no.

Noi siamo ora in quell’intervallo temporale fastidioso in cui si sono trovati gli svizzeri a metà del secolo scorso. Il periodo dentro il quale le norme sul copyright sono del tutto inadeguate alla nostra società dell’informazione. Sono state immaginate duecento anni fa e benché il principio di base che la reggeva sia un principio ancora oggi valido ed equilibrato (un compromesso onorevole fra il diritto alla trasmissione della conoscenza e quello assai più trascurabile ma concreto della retribuzione degli artisti) sono ormai diventate il fantasma di loro stesse. I maschilisti svizzeri che le sostengono sono uomini fuori dal mondo, saldamente ancorati alla fitta rete di interessi economici che, in nome della propria prosperità o anche solo – coi tempi che corrono – della propria sopravvivenza, si dichiarano ogni giorno disponibili ad incatenare cultura, pensiero e condivisione per tutelare il proprio giardinetto di soldi.

Dicono di essere i garanti della cultura e della creatività e invece ne sono i carcerieri. E benché a parole le loro prigioni siano ogni volta più solide e presidiate, la scena che si svolge di fronte ai loro occhi racconta tutt’altro. No, non è una minaccia per la nostra società l’ennesima improvvida e deprimente estensione del copyright. È la tragedia di un uomo ridicolo: è il racconto della parabola di quell’avvocato di Berna convinto che sua moglie avesse il cervello troppo piccolo per votare.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
25 nov 2013
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