Contrappunti/ Il fascino di Google Glass

Contrappunti/ Il fascino di Google Glass

di M. Mantellini - Un dubbio circonda il nuovo gadget di Mountain View. Farsi accalappiare dal rigurgito neo-luddista o abbracciare l'afflato nerd della condivisione totale?
di M. Mantellini - Un dubbio circonda il nuovo gadget di Mountain View. Farsi accalappiare dal rigurgito neo-luddista o abbracciare l'afflato nerd della condivisione totale?

Confesso una certa qual attrazione verso i Google Glass. Si tratta di un sentimento ambivalente: da un lato l’eccitazione un po’ infantile per i nuovi spazi che la tecnologia scava nelle nostre vite, dall’altro la curiosità perplessa di chi, sotto sotto, confida in un fallimento di qualsiasi nuova frontiera che stravolga in maniera netta e improvvisa il nostro universo relazionale. Ripensandoci ora, delle ultime due ultime grandi rivoluzioni tecnologiche degli ultimi 20 anni, quella della telefonia mobile e quella della nascita della rete Internet, mi è capitato di sposare incondizionatamente e fin dagli inizi la seconda e di rifiutare con fermezza per quando mi è stato possibile la prima, almeno fino a quando telefonia mobile e Rete non si sono incrociate e un in matrimonio.

Ma nel tragitto temporale da incendiario a pompiere, da giovane entusiasta a vecchio pessimista che ineluttabilmente interessa tutti quanti noi, esistono comunque punti di discontinuità che riguardano, per esempio, quelle tecnologie che si ripromettono di cambiarci la vita interamente e in un istante. Molta dell’ampia discussione attuale su un paio di occhiali, che ancora di fatto nessuno può acquistare, si basa su questa impressione di totipotenza che un simile gadget lascia intravedere. E molta di questa potenza ha anche chiare ed immediate connotazioni negative perfino fra gli entusiasti tecnologici, anche fra quelli che, nel percorso da incendiario a pompiere, amano tuttora farsi fotografare con l’accendino in mano.

Nick Bilton del NYT ha provato a dare voce a queste perplessità su un oggetto con chiare aspirazioni magiche che, da un lato solletica forme di isolamento già note, dall’altro apre nuovi fronti di intrusione sociale difficili anche solo da immaginare. L’esempio del tizio che facendo l’occhiolino manda immagini dai suoi occhiali mentre è all’orinatoio forse non è elegantissimo, ma rende bene la rappresentazione del tema in discussione.

E prima ancora di una serie di nuove interpretazioni delle leggi esistenti in materia di privacy e copyright, prima ancora delle furibonde battaglie fra apocalittici ed integrati che riempiono già oggi per molto meno le cronache italiane, sembra evidente che la scommessa dei prossimi mesi sarà quella di immaginare e aderire ad un nuovo galateo: una serie di convenzioni e comportamenti che possano rendere i Google Glass, e qualsiasi altra diavoleria delle quale intenderemo dotarci, oggetti sociali e non armi sociali.

Perché l’hack che consente di twittare foto facendo l’occhiolino ad un mondo che sulle prime ti osserverà come si guarda un deficiente (e poi magari inizierà a strizzarlo pure lui come accade di solito con i comportamenti prima biasimati poi infine accettati) è solo l’esempio più naive delle nuove sfide alla nostra responsabilità individuale preparate dalla tecnologia.

Se prepararsi una pistola con una nuova stampante 3D è un bell’esempio di vecchie aspirazioni con nuovi mezzi, capace in ogni caso di minare alle basi alcuni principi cardine della nostra società delle regole, utilizzare i Google Glass anche solo per registrare il mondo (e non solo per chiudersi in un nuovo immersivo autismo di Rete con spruzzate di realtà aumentata) richiederà nuove contromisure tecniche ma anche, prima ancora, nuove forme di educazione.

Sarà insomma una sfida più che altro sociale, ad indagare le nostre capacità di mantenerci comunità responsabile nel momento in cui la tecnologia ci consentirà di non esserlo. Sarà anche divertente osservarlo: ci metteremo e ci toglieremo i maledetti occhialini così come si santifica o si ignora un articolo della Costituzione. Sarà un’altra ottima maniera per raccontare nel bene o nel male noi stessi a quelli che abbiamo attorno.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
20 mag 2013
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